​Carichi di rifiuti all’estero, c’è il rinvio: «Per partire ci vorranno mesi»

Rifiuti a Roma
di Lorenzo De Cicco
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Giovedì 18 Luglio 2019, 00:03
 «È questione di mesi, non di giorni», spiegano fonti della Stockholm Exergi, la società che gestisce l’inceneritore di Stoccolma, l’impianto a cui il Campidoglio ha chiesto di smaltire migliaia di tonnellate di rifiuti della Capitale. Lo stesso confermano i tecnici che stanno seguendo l’operazione qui a Roma: per siglare i contratti e far partire per l’estero le navi con l’immondizia dell’Urbe ci vorrà più tempo del previsto. Tradotto: «Non prima di ottobre». Sia per Stoccolma che per Göteborg, l’altra città svedese a cui aveva bussato l’amministrazione di Virginia Raggi per cercare di mettere fine il prima possibile all’emergenza che si è creata ormai da più di un mese. Dopo il vertice al Ministero dell’Ambiente con la Regione Lazio, la settimana scorsa, si era deciso di portare oltre confine la spazzatura romana in modo strutturale. Per almeno tre anni.

I COSTI
Siglare contratti con impianti lontano dal Gra è l’unico modo per evitare che la città vada in sofferenza ciclicamente. Anche se si tratta di accordi costosi: con la Svezia si sta trattando per 200 euro a tonnellata. Il costo medio del trattamento per l’Ama è molto più basso, intorno ai 160 euro, come si legge nell’ultimo rapporto di controllo sulla società. Ma non c’è altra via. Del resto Roma non ha un inceneritore - i 5S hanno messo il veto - e anche gli impianti di trattamento sono pochi. E in questo periodo lavorano per giunta a ritmi rallentati: funziona a pieno regime solo quello di Rocca Cencia, l’unicio di proprietà pubblica dopo l’incendio al Tmb del Salario di dicembre, mentre gli impianti di trattamento privati, nella zona dell’ex discarica, a Malagrotta, da qualche settimana accettano molta meno immondizia del normale, a causa di lavori di manutenzione non più procrastinabili. Interventi che sarebbero dovuti terminare a metà settembre, invece negli ultimi giorni è arrivata un’altra tegola: la conclusione è slittata di almeno un mese. Tocca quindi trovare in fretta alternative. 
Se si è visto qualche miglioramento negli ultimi dieci giorni è perché con l’ordinanza di inizio luglio sono stati attivati in emergenza tutti gli impianti del Lazio, fino al 30 settembre. La legge consente una proroga fino a un massimo di altri 30 giorni. In sostanza, dalla fine di ottobre in poi, Roma rischia di trovarsi di nuovo invasa dai sacchetti.

«SOLO 6MILA TONNELLATE»
Ecco perché serve una valvola di sfogo all’estero. Strutturale. Oltre alla Svezia, sono state avviate trattative con la Bulgaria, che potrebbe rappresentare un’altra soluzione a medio termine. Altre opzioni: Portogallo, Cipro, l’Austria, la Germania. Ma tocca capire quali sono i tempi per arrivare agli accordi. Soprattutto tocca valutare l’ammontare complessivo delle tonnellate che Roma riuscirà a spedire oltre confine. Quota minima: almeno 100mila tonnellate, considerando che l’Abruzzo da solo ne accoglie 70mila l’anno e l’appalto, dopo una mini-proroga, scade tra qualche mese. Dalla Svezia, secondo tecnici che stanno gestendo l’emergenza, avrebbero fatto capire di poter accettare circa 6mila tonnellate. Cioè quanto a Roma si raccoglie in due giorni. Una goccia nel mare.
Come in un gioco dell’oca, la caccia agli impianti riparte allora dalle regioni italiane. Anche da quelle che avevano detto no. Per esempio Emilia Romagna e Lombardia. Sperando che le risposte cambino segno e ci sia maggiore disponibilità per la Capitale, come si augura il ministro Sergio Costa.

LA FRAGILITÀ DEL SISTEMA
Resta la fragilità strutturale di Roma, che oggi produce quasi un milione di tonnellate di scarti indifferenziati all’anno, mentre la differenziata arranca, fallendo tutti gli obiettivi prefissati dai 5 stelle: nel 2018 si è scesi al 43,9%, mentre il traguardo era il 50%. Servirebbero impianti di smaltimento. Il piano dei rifiuti della Regione, che indica i fabbisogni per ogni territorio del Lazio, prenderà atto che a Roma è necessaria una discarica, anche perché a fine 2019 chiuderà quella di Colleferro. Ma l’Ama non presenterà un progetto: i 5 Stelle sono contrari. Stesso discorso per gli inceneritori. È probabile che si faccia avanti qualche privato, sulla base della mappa delle aree idonee che, dopo un lungo tira e molla, la Città metropolitana guidata dalla Raggi ha consegnato alla Regione. Ma tra un rimpallo e l’altro, non è detto che l’impianto venga poi autorizzato.
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