Lega e fondi russi, Conte scavalca Salvini: «Il 24 sarò io in Aula»

Lega e fondi russi, Salvini: parlare in Parlamento? Non riferisco su fantasia
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Mercoledì 17 Luglio 2019, 12:20 - Ultimo aggiornamento: 18 Luglio, 10:03

Non sono fantasie, non è un'inezia ma una vicenda dai contorni gravi che va chiarita, con un atto di «trasparenza». Ecco perché Giuseppe Conte scavalca Matteo Salvini e dà la disponibilità a riferire al Senato sui presunti fondi russi alla Lega. «Il Parlamento è sacro e io, che sono la massima autorità del governo, riferisco», dichiara il premier, facendo capire di aver deciso di sopperire al «no» del leader della Lega. Il 24 luglio, mercoledì prossimo, sarà in Aula al Senato. Dopo averlo ascoltato, il Pd valuterà se proporre la sfiducia a Salvini. Ma sono le scelte del premier e del M5s a mandare su tutte le furie, in queste ore, gli uomini della Lega: il timore è che ci si avviti in una crisi senza controllo. Il ministro dell'Interno ribadisce la sua linea nel corso di una visita a un gattile romano: «Se c'è un reato io sono il più cattivo e intransigente. 
 


Ma non mi interessano gli audio rubati e non riferisco sulla fantasia». Salvini si dice tranquillo ma le sue parole rivelano l'irritazione col premier: «Può scrivermi via lettera o whatsapp ma gli rispondo che non abbiamo chiesto e preso un euro fuori posto». I leghisti, a taccuini chiusi, si mostrano furiosi: « Conte sta trascinando il M5s - dice uno di loro - nella trappola del Pd e di chi vuole usare la vicenda Savoini per darci la strappata». «Aspetto con ansia che si chiuda l'inchiesta», dice Salvini. Forse teme, commenta un Cinque stelle, che nuovi dettagli lo travolgano. A dare il termometro dei rapporti nel governo, c'è la vicenda di Massimo Garavaglia. Il viceministro leghista viene assolto nel suo processo milanese per turbativa d'asta.

La prima buona notizia da un pò, per i leghisti. Che si infuriano perché nessuno dei pentastellati di governo (e neanche Conte) commenta la notizia: «Non vorremmo che avessero sperato in una condanna», dichiara via Bellerio. Sferzante la risposta M5s: «Siamo felici per Garavaglia, ora convinca Salvini a riferire in Aula». « Conte è sempre più premier di un monocolore M5s», dice sorridendo un leghista. Non passa inosservata la scelta di Conte di convocare, su proposta di Di Maio, un «workshop» con le parti sociali a Palazzo Chigi («la risposta al tavolo di Salvini»). Si nota anche che a un evento pubblico il premier abbia rimproverato il ministro Gianmarco Centinaio per le promesse «eccessive» in vista della manovra. La risposta è la minaccia leghista di far cadere il governo sull'Autonomia. Ma Salvini, non si stancano di ripetere i suoi, non vuole votare.

Per ora. Si va chiudendo la finestra del 20 luglio per il voto a settembre. Niente impedisce al leader leghista, che nella partita delle urne dà le carte, di far saltare il banco dopo. Ma il leghista sa che in quel caso si aprirebbe un nuovo scenario: per garantire la stabilità del Paese e fare la manovra, potrebbe crearsi un fronte di sostegno a un governo politico «di emergenza». È nota la contrarietà del Colle all'eventualità di portare il Paese all'esercizio provvisorio. Ecco perché i leghisti sono tornati ad agitare lo spauracchio del ribaltone e di un Conte «bis» non più gialloverde ma giallorosso. Sia Nicola Zingaretti, sia Di Maio negano ogni possibilità. Ma l'idea, come conferma il contrarissimo Matteo Renzi, circola. Il taglio dei parlamentari, con il sistema maggioritario, rischia di «consegnare il Paese» alla Lega: Pd e M5s potrebbero unire le forze - è la teoria - per una legge elettorale proporzionale.

Tutti scenari, questi, che rischiano di essere alimentati dalla scelta di Conte di riferire in Aula su Salvini tra una settimana. Fino ad allora, il leader leghista sarà sulla graticola. Il presidente della Camera Roberto Fico, dopo aver ricevuto Zingaretti, scrive al ministro Riccardo Fraccaro sollecitando la presenza del titolare del Viminale in Aula. «Farà al massimo un question time», dicono i suoi. Ma ai Dem, che sono sulle barricate e in commissione arrivano quasi allo scontro fisico con i leghisti, non basta affatto. Se resterà il «No», concordano in un'assemblea alla Camera, si dovrà valutare ogni iniziativa, incluso trascinare Salvini in Aula con una mozione di sfiducia.

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