Un live che riavvicina la bionda cantante canadese agli standard americani, con canzoni che parlano d'amore. Il che, per sua stessa ammissione, non vuol dire che, come i film, siano a lieto fine. La sua voce volteggia raffinata sulle note di L-O-V-E di Nat King Cole o Boulevard of broken Dreams di Tony Bennett, facendo calare l'Arena quasi in atmosfera da jazz club. Non fosse per l'aria frizzante che domina questo sabato di luglio. Ma il vento freddo che soffia sul palco non raffredda certo i cinque, che usano la loro sintonia per riempire di sfumature ogni brano, a volte indugiando su lunghi a solo, altre abbassando i volumi così tanto da costringere il pubblico a trattenere il fiato. Gli applausi sono frequenti e coinvolti.
Quello della Krall a Uj19 è un live che, volendo parafrasare il titolo del suo penultimo album, conferma la sua capacità "di dare volume alla quiete". Un concetto che nel suo caso si sposa con eleganza e raffinatezza, qualità che fanno passare in secondo piano il suo apparente distacco col pubblico, che ringrazia spesso, abbozzando anche qualche "grazie mille" e concedendosi risate complici verso pubblico e musicisti. Cry me a River è l'omaggio a uno degli standard più rivisitati sul quale la sua voce ondeggia come una farfalla.
Il clima sul palco è rilassato e quasi a ogni brano la protagonista ripete i nomi dei suoi compagni d'avventura; si sente libera anche di cominciare a spiegare un brano e di interrompersi, per poi dire che le canzoni non vanno spiegate. Quindi parte Just like a butterfly that's caught in the rain che restituisce la dimensione più intima della cantante e in questo caso anche del super quartetto che l'accompagna. Con i bis si torna anche negli U.S.A., non per uno standard bensì per una struggente ballata di Bob Dylan (The dream of you), con il pubblico raccolto sotto al palco. Ultimo suggello di una serata riuscita, aperta dal crooner Alan Harris.
© RIPRODUZIONE RISERVATA