Colin Hay torna con i successi dei Men at Work: «Gli anni Ottanta non se ne sono mai andati»

Colin Hay torna con i successi dei Men at Work: «Gli anni Ottanta non se ne sono mai andati»
di Simona Orlando
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Martedì 9 Luglio 2019, 19:05
Breve ma intensa. Così fu la carriera degli australiani Men At Work, milioni di copie vendute con soli tre dischi nei primi Anni ’80, un Grammy, lo scioglimento nel 1986. A fondare il gruppo fu Colin Hay, voce e chitarra, che ha poi pubblicato tredici lavori da solista, a 66 anni gira il mondo con la superband di Ringo Starr e ora riporta in tour i suoi successi di trent’anni fa, tappa domani 10 luglio al Teatro Dal Verme di Milano: «L’idea di riproporre il repertorio dei Men At Work mi è venuta suonando con Ringo dei Beatles e notando l‘appetito insaziabile del pubblico per le vecchie canzoni. Non so quanti si ricorderanno di noi, questo è un esperimento» ci racconta. E’ l’unico rimasto del gruppo originale, ha arruolato musicisti losangelini e la brava Scheila Gonzalez al sax sul brano “Who Can It Be Now?, scritta in una casa sull’albero, pensando al condominio equivoco in cui Hay abitava (i clienti scambiavano il suo appartamento per quello dello spacciatore accanto). E’ in scaletta con le altre hit Overkill e It’s a Mistake: «Un brano tristemente attuale, in cui denunciavamo la Guerra Fredda e il pericolo del nucleare. Il mondo non sembra così migliorato». Non manca “Down Under”, il terzo risultato su You Tube se si cerca l’inno australiano: «Siamo stati interpretati male come capitò a Bruce Springsteen per Born in the USA. Parlavamo dell’avidità che stava distruggendo l’Australia, ma passò per un canto patriottico». La loro musica fu un ponte fra i ‘70 e ’80: «Amavamo i Beatles, ma ci condizionavano anche i Police. Al pop aggiungemmo elementi new wave, reggae, sax e flauti che ci distinsero da tutti, insieme ai video che trasmettemmo su MTV». Poco strategicamente, si separarono all’apice del successo: «Non so se fu una scelta coraggiosa o stupida. Facevamo troppi bagordi e non eravamo più legati l’un l’altro creativamente. Avessimo avuto un bravo manager, ci avrebbe aiutato a comunicare meglio e spiegato che la somma di noi era più importante dei singoli». Il periodo comunque è favorevole al revival: «Gli Anni ’80 non se ne sono mai davvero andati. La verità è che non puoi ignorare le grandi canzoni, a qualsiasi epoca appartengano. Non mi preoccupa l’era digitale, la gente continuerà a godersi i concerti, e gli artisti producono ancora bella musica, con la chitarra o con il computer. La differenza è che oggi devi che cercarla, perché il mercato è saturo e le proposte in primo piano sono scarse. In Italia avevamo un pubblico favoloso, nel 1983 arrivò la polizia perché dopo il bis nessuno se ne voleva andare a casa. Spero tornerà a trovarmi». Intanto continuerà ad essere il chitarrista di Ringo nel suo tour stellare: «Da lui imparo ancora tutto. Suona relazionandosi alla parte vocale e non solo al groove. Una cosa rara. E’ come se cantasse con le bacchette». 
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