Giulio Sapelli

Il peso dell’austerity/ Lezione greca che cosa l’Europa non ha imparato

Celiachia già presente nei romani di 2000 anni fa: la scoperta grazie allo scheletro di una ragazza coperta di gioielli
di Giulio Sapelli
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Martedì 9 Luglio 2019, 00:24 - Ultimo aggiornamento: 08:00
Nel 2009 Georgios Papandreou era primo ministro greco e leader dello storico Pasok, il partito socialista greco. Nipote di Georgios, storico esponente dei conservatori greci che si batterono contro i tedeschi durante la seconda guerra mondiale, e figlio di Andrea Papandreou, capo del rinato partito socialista greco (Pasok) economista di fama internazionale, già primo ministro della Repubblica Ellenica.

Georgios era dunque un esponente di una delle pochissime grandi famiglie dell’oligarchia che da secoli governano i rapporti tra la borghesia dell’interno e la diaspora greca dell’intellighenzia e della finanza internazionale. Papandreou ammise che i dati sul disavanzo di bilancio erano stati manipolati per anni. Fu uno choc profondo, non solo per la Grecia, ma per la stessa Ue e aprì una crisi di fiducia che ancora oggi non è stata superata. Decisiva fu la rottura del rapporto tra oligarchia e classi popolari e ceti medi impoveriti. Per la prima volta nella storia greca l’oligarchia, vestita da socialista o da conservatore che fosse, perse la fiducia degli elettori.

All’epoca le agenzie di rating declassarono il debito sovrano e i tassi d’interesse s’impennarono e iniziò l’avvitamento di una economia da sempre fragilissima, con un mercato interno ristretto, un bilancio pubblico stremato dalle spese militari per il secolare conflitto con la Turchia, esacerbato dalla crisi mai risolta di Cipro dove convivono a fatica due comunità ostinatamente divise dalla religione e dalla storia.

Nel 2010 il governo si rivolse all’Eurozona e al Fondo monetario internazionale per essere riammesso nel novero delle nazioni il cui debito potesse essere rifinanziato. Si mise così in moto la solita ricetta dell’aggiustamento strutturale deflattivo: aumento delle tasse, taglio delle pensioni e dei salari, blocco della spesa pubblica, svendita degli asset nazionali. L’economia greca, per secoli un polmone soffocato dall’enfisema della burocrazia più pervasiva al mondo e da un regime oligarchico da manuale, la Grecia non resistette alla pozione magica del Fmi, della Bce e dell’Eurozona e iniziò a decadere ancor più rapidamente. Si presentarono all’incasso i creditori che avevano incrementato il debito privato e pubblico negli anni in cui si preparavano le Olimpiadi di Atene del 2004 e che segnarono l’inizio di quel perfetto meccanismo del default che i grandi gruppi finanziari avevano di fatto ricercato e auspicato da anni.
Ma torniamo all’agone politico, allorché nel giugno 2012 vinsero le elezioni gli homines novi di gobettiana memoria: Alexīs Tsipras, con il suo partito Syriza, giunse secondo ottenendo il 26,89% dei consensi contro il 29,66% di Antonis Samaras di Nuova Democrazia che riuscì nell’intento di formare un nuovo governo completamente prono al diktat esterno, governo che però perderà poi nel 2015. Uno dei punti fondamentali del programma elettorale di Tsipras era, in caso di vittoria del suo partito (come avvenne), la richiesta di rinegoziazione del piano di austerity imposto alla Grecia dalla cosiddetta Troika. E’ ciò che si apprestava a fare dopo le nuove elezioni politiche del 26 gennaio 2015, quando il movimento da lui guidato, Syriza appunto, trionfò con il 36,34% dei voti e 149 seggi non conseguendo la maggioranza assoluta e dovendo così governare con un partito della destra nazionalista. Alla base della campagna elettorale vi era stato il rifiuto delle politiche economiche messe in atto dai precedenti governi in accordo con la Troika e la richiesta di una riforma delle politiche di austerity nell’Ue. Le ragioni della sconfitta odierna di Tsipras risiedono nella incapacità del suo gruppo dirigente di affrontare un negoziato serio e diplomaticamente intelligente con l’Ue. Disastroso fu il comportamento di Gianis Varoufakis, ministro dell’Economia e iniziale negoziatore con l’Ue dopo la vittoria del «No» al referendum del 5 luglio 2015, quando la Grecia respinse in forma inusitata l’austerità e il piano della Troika e dell’Unione. Varoufakis durò assai poco nel governo, ma non senza annunciare insostenibili tesi relativamente alla possibilità di emettere liquidità parallela fuori dall’euro secondo il “modello californiano” della cosiddetta moneta Iou (I owe you), una specie di promessa scritta di pagamento del debito negoziabile: in pratica una forma di moneta parallela, che avrebbe consentito la sopravvivenza economica del mercato ellenico tagliando il rimborso dei bond detenuti dalla Bce, contestualmente all’abolizione del controllo della Banca centrale greca da parte della Bce. La ferita che si creò in quel breve ma decisivo lasso di tempo tra Atene e l’economia internazionale, che non possiamo pretendere che funzioni come vorremmo, fu insanabile. 
A Tsipras non rimase che cedere alle imposizioni della Troika con effetti nefasti per la società greca che accelerò allora la sua implosione e la perdita del suo baricentro europeo, così da piombare non solo tra le braccia dei capitali tedeschi e francesi (come è sempre stato, del resto, nella storia greca), ma soprattutto in quelle dei capitali cinesi che si apprestano a fare della Grecia il trampolino di lancio per la loro espansione militare prima che economica nei Balcani. Sicché dal 2010, al di sotto della crosta più mediatica che reale, ben poco è mutato nella gerarchia del potere greco L’austerità imposta dall’alto significò altri tagli, nuove tasse da accollare alla classe media, articolate però - ecco un importante ma non bastevole risultato dei governi Tsipras - in modo tale da salvare le fasce più deboli.
Una drammatica storia, quella greca, che attende ancora di essere studiata come si deve per impedirci di fare errori in futuro allorché, come è inevitabile, sarà necessario addivenire a un cambiamento delle politiche economiche europee, pena la non fuoriuscita dalla deflazione secolare con relativa stagnazione economica e sociale. Ma dovrà essere fatto senza compiere gli errori compiuti nell’Ue come in Grecia, perdendo la bussola della negoziazione per la riforma dei Trattati europei per scegliere invece la linea del muro contro muro alla Varoufakis, linea che ha indebolito seriamente i governi del cambiamento in Grecia. I greci che oggi hanno la fortuna di avere un lavoro ricevono salari ridotti e pagano tasse più alte che in passato. Centinaia di migliaia di persone, per lo più giovani e qualificati, hanno lasciato e lasciano il paese in cerca di una vita migliore. La pressione fiscale è oggi più alta che in buona parte dei paesi dell’Unione e sta soffocando la crescita. La soglia dell’esenzione d’imposta è più alta dello stipendio medio dei lavoratori del settore privato, il che significa che le entrate pubbliche dipendono da un piccolo numero di contribuenti.
Euclide Tsakalotos, il già ministro delle Finanze, affermava giustamente che occorreva al più presto liberare risorse di bilancio per finanziare il taglio delle tasse e maggiori investimenti e spese sociali. Ma non si vede da dove si potrebbe iniziare a farlo con una serie di rigidità così pesanti. In termini reali, il Pil e gli investimenti sono molto al di sotto dei picchi precedenti alla crisi. Un quinto della forza lavoro e due quinti dei giovani sono disoccupati. In ogni caso, tuttavia, è errato parlare di piena sconfitta politica di Tsipras: se pure Nuova Democrazia ha sfiorato il 40% dei consensi, Syriza ha recuperato quasi l’8% rispetto alle Europee di maggio risalendo al 31,5% e ha superato le previsioni della vigilia. Diventa perciò un ormai consolidato polo politico in un contesto tendenzialmente bipartitico e attrae comunque quasi un terzo degli elettori e può aspirare ad aggregare ulteriori consensi.
Quello che va sottolineato è il ritorno al potere politico (quello economico mai l’avevano perduto) di una delle storiche famiglie dell’oligarchia greca, i Mitsotakis. Kriakos è figlio di Konstantinos, già primo ministro e coraggioso avversario dei militari greci che lo costrinsero a un esilio durato sino al giorno della caduta della dittatura. I suoi legami con i gruppi finanziari internazionali sono quanto di più solido oggi esista in Grecia e segnano il ritorno certo al rapporto storico esistente tra diaspora e capitalismo nazionale, ma un rapporto che oggi, vista l’aggressiva presenza militare ed economica cinese e la crisi che avanza delle banche tedesche, dovrà essere sottoposto a un profondo cambiamento
Ancora una volta i cammini della Grecia sono i cammini di un’Europa che non potrà non cambiare.
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