Gianfranco Viesti
Gianfranco Viesti

Lo Spacca-Italia/ Così si squilibra il Paese: tocca al Parlamento

di Gianfranco Viesti
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Martedì 9 Luglio 2019, 00:22
Per capire ciò che sta avvenendo in questi giorni sul fronte dell’autonomia regionale differenziata, bisogna ricordare un elemento essenziale della questione. Le richieste delle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna (a cui sono pronte ad affiancarsi quantomeno Piemonte e Liguria) sono estreme. E quindi, man mano che “si vedono le carte”, cioè si comincia a guardarle con attenzione, non possono che emergere enormi problemi.
Le richieste sono estreme sotto il profilo dei contenuti, giacché le tre regioni (con qualche eccezione per l’Emilia) stanno richiedendo tutte le competenze che in teoria sono previste dall’articolo 116 della Costituzione. Non vi sono specificità regionali che le giustificano: il progetto è di acquisire tutto il possibile. Il progetto di legge nazionale approvato dal Consiglio Regionale veneto nel novembre 2017 è composto da 61 articoli. Questo fa capire perché il governo e le tre Regioni non abbiano finora consentito di accedere ai testi delle possibili intese sulla parte di merito.
Perché esse ridisegnano quasi completamente il funzionamento di molti, fondamentali servizi pubblici nel nostro Paese; e meno se ne comprendono le conseguenze per tutti gli Italiani, meglio è per loro. Si prenda il caso della scuola, di cui si è apparentemente discusso nella riunione di ieri: Lombardia e Veneto vogliono il passaggio immediato nei ruoli regionali dei Dirigenti scolastici e del personale degli uffici regionali del Miur; concorsi regionali per il nuovo personale; poteri assoluti per il riconoscimento delle scuole paritarie e per l’erogazione dei relativi contributi. In un’intervista recente a un quotidiano del Nord, il ministro Bussetti ha espresso tutto il suo entusiasta favore per queste richieste, disegnando per Lombardia e Veneto una scuola sul modello trentino. Ma il governo, il 24 aprile scorso ha firmato un accordo con tutti i sindacati nazionali della scuola nel quale si legge che “si impegna a salvaguardare l’unità e l’identità culturale del sistema nazionale di istruzione, garantendo un sistema di reclutamento uniforme, lo status giuridico di tutto il personale regolato dal Ccnl, e la tutela dell’unitarietà degli ordinamenti statali”.
<HS9> E’ evidente che appena il confronto entra nel merito, esplodono le contraddizioni. E diventa chiaro il disegno politico. E’ lecito chiedersi infatti chi tragga vantaggio da una scuola regionalizzata: non i docenti, con meno diritti di mobilità; non gli studenti, con docenti selezionati solo su base regionale; ma certamente gli amministratori regionali, con poteri di intermediazione politica molto maggiori rispetto ad oggi. E non si è ancora giunti ad una altra questione esplosiva: la regionalizzazione di grandi infrastrutture nazionali di trasporto. Le regioni chiedono cioè, apparentemente senza alcun problema etico, che parte del patrimonio nazionale sia assegnato loro, mentre il debito pubblico rimane sulle spalle di tutti noi.
Le richieste sono estreme anche sotto il profilo finanziario. E le due cose vanno insieme: perché poteri così estesi sono anche lo strumento per ottenere risorse molto maggiori rispetto alla situazione attuale. Da questo punto di vista il progetto di legge nazionale approvato in Veneto è cristallino, e l’inopinata accelerazione impressa ai dossier dal moribondo governo Gentiloni, per mano del sottosegretario veneto Bressa, ne raccoglieva immediatamente appieno le istanze. Sul profilo finanziario sono noti i testi concordati in febbraio. E la loro lettura rende evidente come essi siano stati scritti, in ogni loro aspetto, per favorire le regioni richiedenti a danno di tutti gli altri cittadini italiani; lo dimostrano gran parte delle audizioni tenute dalla Bicamerale sul Federalismo Fiscale, da ultima quella straordinariamente puntuale di Cecilia Guerra, già parlamentare e docente di scienza delle finanze a Modena e Reggio Emilia. 
La lettura delle bozze rende altresì evidente l’ambiguità della posizione della giunta emiliano-romagnola: con il Presidente che si sbraccia per sostenere che “non chiede un euro”, ma poi non si fa nessun problema a firmare documenti che portano grandi vantaggi finanziari alla sua regione a scapito delle altre. Anche per questi temi, “vedere le carte” fa emergere tutti i problemi. Cominciando dal fatto che si è abbandonato ogni riferimento alla legge già esistente che disciplina il finanziamento delle regioni (la 42 del 2009, ancora in attesa di essere attuata) per cucire un vestito ad hoc sulle esigenze dei richiedenti. Come spiegare, altrimenti, l’escamotage di garantire alle tre (e non alle altre) la spesa media nazionale pro-capite, in assenza di fissazione dei complessivi fabbisogni standard? E’ lo strumento per avere molti più soldi per la scuola (a danno degli altri) e poter così allettare i docenti con eventuali incrementi di stipendio. E ancora: come spiegare la previsione secondo la quale se il gettito fiscale regionale aumenta più del costo dei servizi, la differenza rimane nelle casse regionali? L’assenza di ogni riferimento a fondi perequativi, previsti nella 42 in particolare per attuare il dettato costituzionale sui grandi diritti di cittadinanza (i cosiddetti Lep)? Gli enormi poteri attuativi per Commissioni bilaterali Governo-Regione, al riparo dal Parlamento? E’ chiaro che se, come sembra dei resoconti di una precedente riunione, i 5 Stelle chiedono che non si determinino vantaggi per alcuni a danno degli altri, il testo va completamente riscritto.
Vedremo ciò che accadrà, a partire da giovedì. Tenendo a mente però la considerazione iniziale: e cioè che per il carattere estremo delle richieste, di poteri e di soldi, il fatto che alcune di esse vengano meno risolve poco. Ma avendo anche ben chiaro che il blitz progettato (l’approvazione veloce in Consiglio dei Ministri e poi un passaggio parlamentare di mera ratifica) non è fino ad oggi riuscito; anche per la mobilitazione di alcuni organi di stampa e gruppi di cittadini, nell’umiliante silenzio delle forze di opposizione. Questo stop consente di individuare un obiettivo irrinunciabile: che qualsiasi testo alla fine venga partorito sia oggetto di un approfondito e trasparente dibattito parlamentare, e di votazioni pubbliche: per le quali ognuno si assume le proprie responsabilità. In fine dei conti, stiamo discutendo del funzionamento dell’Italia, così come delle sorti di Roma e delle regioni del Centro-Sud, per i prossimi decenni.
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