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Roma non sfigura con Putin: sacchetti (quasi) dietro le quinte
di Mario Ajello
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Venerdì 5 Luglio 2019, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 18:06
La ruota della limousine presidenziale e la busta di spazzatura. Lungo Corso Vittorio, nel tragitto che sta percorrendo Putin tra il Vaticano e il Quirinale. Sulla strada c’è il presidente, appoggiata al marciapiedi c’è l’immondizia, e sembra che questa voglia dire al grande ospite: bene, hanno rassettato la casa di rappresentanza dell’Italia e dell’Europa, cioè Roma, hanno ripulito questa vetrina universale ma io ci sono ancora. Come segno del genius loci, della specialità dell’Urbe costretta a sopportare la piaga dei rifiuti non raccolti. Roma non sfigura davanti a Putin. E’ sempre stata amata dai russi - Gogol ci ha vissuto dal 1838 al 1842, a via Sistina 126 e qui ha scritto Le anime morte e Il capotto - e ha sempre contraccambiato a modo suo l’ammirazione («Ci vorrebbe uno tosto alla Putin per far funzionare questa città», dicono in tanti dietro le transenne mentre passa il corteo di Vladimir) e ieri s’è tirata a lucido com’è giusto in onore di un visitatore importante. O almeno ci ha provato a non farsi schiacciare e nascondere dalle miserie contingenti della sporcizia. 

I rifiuti, nel perimetro tra San Pietro, il Colle e Palazzo Chigi, restano (quasi) dietro le quinte. Ci si sposta dalla green zone, dove il verde però è appassito, e la situazione nel gran giorno di Putin è simile, occhio ai cassonetti ricolmi e naso ai miasmi e agli umori inverecondi, a quella dei giorni precedenti e molto probabilmente dei giorni successivi a questo. Va tutto meglio, certo: ma sarebbe dovuto andare ancora meglio. C’è la fioriera all’inizio di Via della Conciliazione che era una mini-discarica di bottigliette di plastica e di resti di cibarie dei mendicanti, degli accampati e dei passanti («L’Ama? Dovrebbe funzionare come l’Armata Rossa!», s’indigna qualcuno mentre il presidente ex Kgb è a colloquio con il Pontefice) e ora l’hanno pulita. Ma ci sono anche i cestini traboccanti, sempre intorno a San Pietro, e lo erano prima quasi quanto lo sono adesso. 
Lo zar Vlad abbagliato dalla maestosità generale del paradiso dell’Urbe non si sarà soffermato, guardando dall’auto, su queste tracce di piccolo-grande anti-decoro. Che raccontano, però, insieme all’emergenza rifiuti che continua come al solito in tutti i quartieri tranne quelli del set, quanto la cura di Roma non può essere un espediente dell’ultimo momento per arrivare in splendore all’appuntamento con gli ospiti, ma una pratica quotidiana e normale. Che è quella che poi, al momento giusto, consente di non presentare sbavature e incongruenze: come la pulizia esibita lì, e la polvere nascosta poche decine o centinaia di metri più in là. Quando venne nel marzo scorso il presidente cinese Xi, Roma non era in allarme cassonetti e si presentò meglio. Quando è arrivato Trump, anche. 

Stavolta, una vera operazione pulizia sarebbe stato un segnale di riscatto, e di orgoglio non solo municipale ma patriottico, molto importante. A meno di 50 metri da via della Conciliazione, sotto il “passetto”, tra l’entrata dell’università e il retro di Radio Vaticana, c’è un cumulo di sporcizia vista Castel Sant’Angelo. Un ragazzo che lavora in un locale lì davanti porta un saccone nero, lo poggia sul marciapiedi e dice: «Passa Putin? Così almeno lo porta via lui». Vlad passa da Piazzale Clodio, per andare alla Farnesina e poi a Villa Madama a cena, e qui è tutto pulito, ma nelle vie intorno le solite scene, i soliti odori. Roma è Roma, e come diceva Gogol è «la Terra Promessa della Bellezza». Dunque non poteva e non ha fatto brutta figura davanti a Putin, ma merita ancora e sempre di più di fare una figura migliore davanti a se stessa. 
 
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