Taranto senza Ilva, la tentazione M5S: posti a rischio

Taranto senza Ilva, la tentazione M5S: posti a rischio
di Umberto Mancini
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Lunedì 24 Giugno 2019, 00:22 - Ultimo aggiornamento: 25 Giugno, 10:50

E’ possibile immaginare Taranto senza l’Ilva e quindi l’Italia senza la siderurgia? La riposta per i 5Stelle è sì. Si può, anzi si deve. A spiegarlo sarà il vice premier Luigi di Maio che oggi nella città pugliese porterà ben 5 ministri: Barbara Lezzi, titolare del dicastero per il Sud, la responsabile della Salute Giulia Grillo, quello dell’Ambiente Sergio Cost, quello ai Beni Culturali Alberto Bonisoli ed anche la titolare della Difesa Elisabetta Trenta. Uno schieramento massiccio che indicherà, senza troppi giri di parole, che il rischio chiusura per l’impianto tarantino, il più importante del Paese, è qualcosa di più di una possibilità. E che per evitare di trovarsi impreparati è urgente, mettere a punto un piano choc di riconversione economica di tutta l’area. Un piano che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe creare circa 11-14 mila posti di lavoro, tanti quanti ruotano tra impieghi diretti e indotto intorno all’ex Elva. Difficile capire in che direzione si muoveranno i grillini per colmare questo vuoto, di certo c’è la volontà politica di trovare alternative, di andare avanti dopo aver cancellato nel Decreto crescita l’immunità penale per i vertici di ArcelorMittal per eventuali reati ambientali legati alla riconversione. Un segnale inequivocabile che, se non ritirato in extremis, spingerà il colosso a lasciare il campo. Abbandonando lo stabilimento al suo destino e, molto probabilmente, chiedendo parallelamente allo Stato miliardi di danni per violazione dei contratti già siglati. Andranno in fumo, ovviamente, anche i 4,2 miliardi d’investimenti già stanziati.
FERTILIZZAZIONE
Per la verità qualche idea su come affrontare il dopo, Di Maio e i suoi la stanno già elaborando. Si parte dalla valorizzazione delle piccole imprese della zona, con nuovi stimoli per farle crescere, alla riqualificazione dell’Arsenale Militare, che dovrebbe diventare un nuovo polo culturale, al turismo nelle sue varie articolazioni. Anche il cento storico della città verrà riqualificato con fondi ad hoc, così come saranno lanciati tanti micro progetti per il settore artigiano, le start up, il commercio. L’obiettivo, molto ambizioso, è quello di cambiare il tessuto produttivo in un arco temporale tra i 3 e i 5 anni. «Sappiamo che non è facile - spiegano fonti M5s - ma Taranto va rimessa in moto altrimenti una volta chiusa l’Ilva, la città finirà davvero in ginocchio». 
Anche all’interno del Movimento non sono pochi i dubbi sul fatto che la riconversione possa davvero aver successo. Di sicuro la Lega è fortemente contraria a lasciar fuggire Mittal, sopratutto adesso che la strategia di sviluppo, insieme alla bonifica, è ripartita.
Il Carroccio è preoccupato non solo perché chi investe non si sente garantito e teme per l’incertezza del perimetro regolatorio, ma perché pensa che quello dei 5Stelle sia un piano a dir poco velleitario. 
L’analisi di Svimez è del resto impietosa: da quando l’impianto è stato sequestrato fino ad oggi (2012-2019), sono andati in fumo circa 23 miliardi di euro di Pil, l’1,35% cumulato della ricchezza nazionale. Da questo studio è emerso che «l’impatto sul Pil nazionale è pari ogni anno, fra il 2013 e il 2018, a una perdita secca compresa fra i 3 e i 4 miliardi di euro, circa due decimi di punto di ricchezza nazionale». 
I RISCHI
E nel 2019, questa riduzione verrà resa più onerosa dalla decisione di Arcelor Mittal di mantenere a 5,1 milioni di tonnellate la produzione di acciaio, anziché i 6 milioni promessi appena arrivati a Taranto: nel 2019, la ricchezza nazionale bruciata sarà di 3,62 miliardi. Negli anni perduti dell’Ilva, fra 2013 e 2019 è stato quindi cancellato Pil per 23 miliardi di euro, l’equivalente cumulato di 1,35 punti percentuali di ricchezza italiana». Inoltre, sempre lo Svimez, mette in luce un dato a dir poco davvero dirompente: di questi 23 miliardi di Pil, quasi sette e mezzo riguardano il Nord industriale, cioè il Veneto, l’Emilia Romagna, il Piemonte, la Liguria e la Lombardia. Chiudere l’Ilva di taranto avrebbe cioè effetti devastanti sulla filiera produttiva italiana, coinvolgendo gli altri stabilimenti del settore. Un dato che i 5Stelle devono valutare a fondo.
IL FUTURO
Del resto togliendo l’immunità penale si espone l’azienda a rischi imprevedibili. Anche perché l’ordine del giorno votato dalla maggioranza – dopo la fiducia al decreto crescita – che invita «a tutelare la salute e mantenere gli impegni presi» con ArcelorMittal non offre nessuna garanzia sul futuro. I franco indiani per la verità sperano che la Lega intervenga per trovare una via d’uscita. E aspetteranno probabilmente fino a settembre per prendere una decisione definitiva. Sanno bene che il contributo al Pil che deriva dal piano industriale dell’Ilva vale circa 3,1 miliardi annui. Una cifra a cui nessun governo, specialmente in tempi di congiuntura debole, potrebbe rinunciare. 

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