Francesca, pastore per amore della sua terra: «Fate in fretta a ricostruire o i nostri paesi moriranno»

Francesca e i selfie con il suo gregge: fate in fretta a ricostruire o i nostri paesi moriranno. Nella foto Francesca Cesaretti e la capra Zupa
di Rosalba Emiliozzi
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Mercoledì 19 Giugno 2019, 09:42 - Ultimo aggiornamento: 10:40

Natura, solitudine, gregge. E tanto coraggio. Ma anche selfie, rossetto e shatush rosso. È sempre lei Francesca Cesaretti, 44 anni, La Fra come la chiamano le amiche, che di mestiere fa il pastore e gran parte della vita la passa in alta quota, sugli Appennini dove porta il gregge: 200 pecore, sei capre e quattro maremmani che la aiutano. Venticinque chilometri di saliscendi, tutti i giorni dell'anno, tranne quando nevica.
 

 


Anche oggi era al pascolo, nella zona Contee, sopra Albaneto, a Leonessa, dove vive, piccolo centro terremotato del Lazio, al confine con Umbria e Abruzzo. In sottofondo il silenzio interrotto dallo scampanellio del capo branco, la pecora leader punto di riferimento di tutte le altre. «Per me fare il pastore è stata una scelta vera - dice Francesca Cesaretti - facevo tutt’altro prima, mi occupavo di assistenza dei bambini autistici e quando i miei genitori, ormai anziani, mi hanno detto che avrebbero smesso e volevano togliere tutte le pecore, non ce l’ho fatta a mandare tutto all'aria, il vincolo affettivo era molto forte». Così cinque anni fa ha preso in mano le redini dell’azienda, fondata dai nonni, e ha scandito la sua vita con il ritmo del gregge. Che a dirla così sembra di precipitare nel mondo passato. Invece sui monti, racconta Francesca, c’è la perfezione.

«Il modo migliore per vivere è la montagna, io non mi vedrei in nessun altro posto - dice - la natura ti accoglie e ti stupisce ogni giorno, gli alberi, le farfalle, gli animali che incontri, lepri, daini cinghiali. Quassù c’è un rapporto forte con il pascolo, l’andare delle pecore, il camminare e il fermarsi è un esercizio di rilassamento, il ritmo giusto di vita, al loro passo ti abbandoni». Sono 20-25 chilometri ogni giorno di percorso accidentato e pause nel nulla. «Certo bisogna non soffrire la solitudine. Musica con auricolari? Mai, le orecchie in montagna devono essere sempre libere per udire tutto. Io leggo, leggo molto, mi piacciono i thriller, di autori italiani amo Benni e Andrea Vitali». 

Le amiche? «Chi mi vuole vedere, deve seguirmi in montagna. Ho una cara amica di Monza e quando torna a Leonessa esce come me al pascolo, quando rientra al nord è tonica e abbronzata». Nella sua categoria, quella dei pastori, gap di genere non ce ne sono: stesso lavoro, stesso stipendio. Anzi, secondo Francesca, «la donna sotto certi aspetti ha un occhio più attento». E la figlia, 15 anni, ha scelto Agraria proprio perchè, come dice la madre, «il futuro è qui».

«Le pecore sono le mie regine, con loro faccio un selfie al giorno che pubblico sul mio profilo Facebook. Se ci parlo? Parlarci proprio no, però ci borbottò quando fanno le bizze, corrono via». Un rapporto speciale è con la capra Zupa, la mamma è morta di parto tre anni fa e Francesca l’ha allevata. «Sono convinta che Zupa non sa di essere una capra, crede di essere mezza umana. È molto intelligente, fa tutto ciò che faccio io, quando mi stendo sull’erba, si stende vicino a me. La mattina cerca le caramelle nelle mie tasche, è golosa di quelle al cocomero, gli piace la pizza, la frutta, quello che mangio io, vuole mangiare lei». Sa aprire anche le maniglie.

Francesca è una roccia, una risolvi-problemi di prim’ordine. Ma non si abbatte mai? «Subito dopo il terremoto ho avuto un momento di sconforto, pensavo: è finita, questi territori non si riprenderanno più, e io ci ho investito tutto, cosa lascerò a mia figlia? Ed ho pensato anche che  forse avevo fatto male a non andare via».

Poi però la vera Francesca, quella dei lunghi sguardi sui monti, ha sentito il richiamo delle sue origini e oggi vuole lanciare un appello: «Leonessa, Amatrice, Antrodoco vivono di turismo oriundo, se le seconde case restano chiuse perché distrutte dal sisma, perdiamo tanta economia e tanta allegria. Se ci vuole troppo tempo per ricostruire, la gente se ne andrà per sempre, troverà un altro posto dove stare, i bambini cresceranno lì e i nostri paesi senza di loro moriranno. Questi sono posti di nonni e nipoti che tornavano qui insieme con l’arrivo delle vacanze scolastiche, non sono venuti più perché le seconde case sono ancora in macerie, bisogna fare presto».

 

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