Dudamel, carica comunicativa da popstar: trionfa a suon di Beethoven

Il direttore d'orchestra Gustavo Dudamel
di Simona Antonucci
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Domenica 16 Giugno 2019, 22:44
Beethoven, simbolo della libertà nel senso più moderno del termine. È con questo passo che Gustavo Dudamel, fascinoso direttore venezuelano, 38 anni, con frac impeccabile e capelli arruffati, forte della sua carica comunicativa da popstar, è salito ieri sul podio per dirigere l’orchestra di Santa Cecilia in tre momenti salienti del cammino del compositore tedesco: l’Egmont: Ouverture, la Sinfonia n. 4 e la Sinfonia n.7.

Il suo desiderio di far musica insieme, anima del Sistema Abreu, nel quale si è formato, è arrivato come una scossa di energia prima ai musicisti e poi al pubblico, numerosissimo, che lo ha ringraziato con più di dieci minuti di applausi. In piedi, bravo, fino a che non si sono alzate le luci sull’evento con cui si chiude la stagione. Un ritorno che precede di qualche mese nuovi concerti in sede e una tournée italiana.

«Puoi essere tecnicamente perfetto, ma se non riesci a ispirare il gruppo non farai nulla di speciale», ripete il Maestro, che arrivò per la prima volta in Accademia nel 2005 appena venticinquenne: un enfant prodige fresco della vittoria del Gustav Mahler Conducting Competion, che conquistò la Cavea con la Nona di Beethoven, inaugurando una carriera di successi. Venne elogiato da Claudio Abbado, quando era ancora in vita, e da Simon Rattle. Ha girato le sale da concerto di tutto il mondo, ha diretto la sua Filarmonica di Los Angeles durante l’ultima cerimonia degli Oscar e la Royal Stockholm Philharmonic Orchestra durante la consegna dei Nobel nel 2017. Sulla Walk of Fame è stata inserita una stella in suo onore. Oggi è considerato uno dei direttori più interessanti della scena internazionale. Ma l’impatto comunicativo e il carisma di sabato pomeriggio (repliche oggi alle 20,30 e domani alle 19,30) sono gli stessi che hanno accompagnato il suo esordio e ogni passo della sua carriera.

Beethoven, spiega con ogni movimento della sua bacchetta, simboleggia l’arte che abbraccia tutti gli elementi della vita, il tentativo di unire il mondo, le persone, le genti, attraverso la musica. Come riferimento di libertà per i nostri tempi, Beethoven è perfetto perché questa è la libertà di cui abbiamo bisogno. Un sentimento che Dudamel ha restituito con vitalità e vigore: precisione nella libertà.

Il maestro oggi è celebrato come una star, non solo a Roma, che attendeva il suo ritorno da sei anni. Negli Usa, dove dirige la Filarmonica di Los Angeles, riempie l’Hollywood Bowl. Amazon ha prodotto Mozart in the Jungle, serie ispirata alla sua vita e il regista Spielberg lo ha scelto per dirigere la colonna sonora del nuovo adattamento di West Side Story. Dirige i Wiener e i Berliner, ma collabora anche con i Coldplay, o Katy Parry, «anche», afferma, «per avvicinare quel pubblico che inizialmente diffida della musica classica, ma poi quando la scopre è un’emozione indescrivibile».

Ha un seguito di fan che confidano nella sua capacità di accomunare musica e progresso, migliorare la vita di migliaia di bambini insegnandogli a suonare uno strumento in Venezuela, negli Stati Uniti e in altri Paesi. Tenendo fede al punto forte del Sistema nel quale cominciò a studiare violino da bambino, a 11 anni: un modello didattico musicale che offre un’educazione pubblica e gratuita a bambini di tutti i ceti sociali. Molti dei musicisti della scuola provengono da situazioni disagiate e tramite la musica trovano un riscatto.

Dudamel si è formato in questo centro e il suo impegno sociale è continuato anche quando gli costò nel 2017 la cancellazione della tournée con la sua orchestra giovanile: il governo venezuelano bloccò tutto in seguito a sue dichiarazioni critiche sulla morte di un violista sceso in piazza per protestare. «Quando ero giovane», spiega, «vedevo la musica come uno strumento per cambiare la società.
Ed è per questo che continuo a sostenere molte attività che possano far avvicinare i giovani alla musica. Un modo di dare a tutti le stesse opportunità che ho avuto io». 
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