Romano Prodi
Romano Prodi

Obbligati a crescere/ Le correzioni possibili per evitare la stangata Ue

di Romano Prodi
4 Minuti di Lettura
Domenica 16 Giugno 2019, 00:09
Non è sorprendente che tutti i responsabili delle maggiori imprese italiane, chiamati a consulto dal Messaggero per suggerire i passi da compiere così da essere finalmente “obbligati a crescere”, abbiano indicato come priorità assoluta la ricostruzione di un rapporto cooperativo con i nostri partner europei. Un cammino che abbiamo percorso con fatica nel passato e che ora il governo sembra volere abbandonare, indirizzando la nostra economia in senso opposto. 

Nei giorni scorsi il Ministro delle finanze Tria ha incontrato i suoi colleghi europei ricevendo da essi, pur con diversi accenti, un comune incoraggiamento a correggere la strategia del nostro governo, sempre più divergente dalle regole europee e dagli impegni precedentemente assunti dall’Italia. Una correzione a cui Tria non si è dimostrato pregiudizialmente ostile durante il confronto con gli imprenditori protagonisti del dibattito del Messaggero, anche se lo stesso ministro si trova di fronte a scelte non sempre in armonia con i leader dei due partiti di governo.

Anche se la definizione di “scontro finale” si adatta a fatica alla storia dei rapporti fra l’Italia e l’Unione Europea, credo che ormai ci siamo arrivati: il prossimo 9 luglio l’Eurogruppo sarà infatti chiamato a pronunciarsi sulla procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, a meno che il nostro governo non proceda entro i prossimi giorni alle correzioni di traiettoria suggerite dai nostri partner.

Non è certo la prima volta che l’Italia si trova di fronte a questi confronti ma il quadro si presenta oggi in modo del tutto particolare. In passato si è sempre arrivati ad accettabili compromessi sia con governi che si impegnavano a ricercare equilibri di lungo periodo (come la legge Fornero) sia che privilegiassero obiettivi di più breve respiro, come gli 80 euro o i bonus per i diciottenni. 

Queste politiche oscillanti hanno spesso messo in dubbio la nostra credibilità ma le tensioni ricorrenti si sono dimostrate sempre rimediabili attraverso nuovi provvedimenti, nuove mediazioni e nuove promesse.
Il governo attuale, in questo fedele ai suoi accordi di programma, ha agito in una sola direzione: ignorare gli obblighi europei e rompere ogni equilibrio di bilancio, con la convinzione che tutto questo avrebbe aumentato il potere d’acquisto dei cittadini e ci avrebbe portato verso una maggiore crescita. 

In questa direzione ha operato sia la decisione sulla “quota cento” delle pensioni, sostenuta dalla Lega sia, seppure con minore impatto, il reddito di cittadinanza portato avanti da 5Stelle.

A questo si è recentemente aggiunta la rincorsa al mantenimento di un altro impegno elettorale, cioè la diminuzione del peso fiscale, indipendentemente dall’aumento dell’iniquità che la scelta specifica avrebbe provocato. Si è cominciato infatti con la misura più iniqua possibile, cioè la flat-tax. Per non provocare reazioni troppo violente si è limitata la sua prima applicazione ai redditi meno elevati, con la conseguenza che i commercialisti di tutta Italia si stanno in questi giorni dedicando a dividere le attività economiche dei loro clienti in strutture inferiori ai 65.000 Euro, limite al di sotto del quale opera il minore livello di tassazione. 
Si tratta quindi di una serie di provvedimenti che, a differenza di quanto auspicato nel dibattito del Messaggero, aumentano il deficit di bilancio non attraverso investimenti produttivi ma nella falsa illusione che, semplicemente aumentando il potere d’acquisto dei cittadini, possa aumentare anche la velocità di sviluppo del paese. 
Dopo un anno di governo il risultato è quello opposto: siamo ormai all’ultimo posto nella crescita fra tutti i paesi dell’Ue.

È vero che un calo generalizzato dell’economia europea ha rallentato la corsa di tutti, compresa la Germania, ma è purtroppo altrettanto vero che ci siamo ulteriormente distanziati rispetto ai nostri partner. Proprio per questo motivo gli interventi nel dibattito del Messaggero hanno accentuato la distanza fra le decisioni governative e le esigenze di politica industriale, sottolineando come, nei diversi settori, manchi un quadro di riferimento che possa davvero rendere possibile “l’obbligo a crescere” che dovrebbe invece essere il destino condiviso del nostro paese. Il dibattito non si è infatti limitato a rilevare le distanze che ci separano dagli altri paesi ma ha suggerito misure concrete per migliorare lo scenario nel quale operano le nostre imprese e ha messo sul tavolo proposte per ridurre il nostro deficit, ad esempio non attraverso irrealistici tentativi di vendita degli immobili di proprietà pubblica ma con la creazione di fondi immobiliari in grado di attrarre in modo credibile e sicuro il risparmio degli italiani. 

Dal “giudizio finale” del 9 luglio ci separa ancora un periodo di tempo sufficiente per provvedere ad una “correzione straordinaria della rotta italiana” come richiesto da tutti i nostri partner europei e come suggerito dai partecipanti al confronto proposto da questo giornale. Possiamo solo augurarci che questo periodo di tempo venga impiegato utilmente.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA