«Una vita per il jazz», Roma ricorda Giampiero Rubei

Omaggio al fondatore dell'Alexanderplatz di via Ostia
di Stefania Piras
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Venerdì 14 Giugno 2019, 19:39 - Ultimo aggiornamento: 20:49
Spezzare l'accerchiamento culturale. Era il suo pensiero fisso. Naturale che ne scaturisse l'amore per l'ascolto, per il jazz, e quindi per ciò che è stato difficilmente incastrabile nel pentagramma politico. E questa passione oggi gliela riconoscono tutti a Giampiero Rubei, fondatore del festival di Villa Celimontana (con dentro la mostra inedita Il jazz durante il fascismo) e dell'Alexanderplatz, storico jazz club di via Ostia riaperto oggi grazie al figlio Eugenio che ha già ricevuto il premio Downbeat e il Django d’or. Il suo nome ora campeggia sui muri della Casa del Jazz dove è stata inaugurata una targa alla sua memoria. Rubei, scomparso lo scorso 2 aprile 2015, è stato il jazz a Roma, per questo le istituzioni romane hanno promosso insieme alla famiglia questa targa «che vuole essere un omaggio a un uomo che ha dedicato la sua vita a Roma, alla promozione e diffusione della cultura e della musica jazz».

Appassionato di Celine, raccolse le disposizioni testamentarie di Julius Evola, Rubei è stato anche dirigente nazionale del MSI. Filippo La Porta ricorda che amava il misticheggiante "L’arpa birmana", orientato a uno spirito buddhista non-violento, e che disprezzava i "Berretti verdi" di John Wayne, che invece adorava Gianfranco Fini.
Alla casa del jazz per la cerimonia della targa c'era lo stato maggiore della destra capitolina, che oggi è Fratelli d'Italia. C'era il consigliere regionale Fabrizio Ghera, il deputato Federico Mollicone, il consigliere capitolino Andrea De Priamo, Stefano Tozzi del Municipio I, l'ex sindaco Gianni Alemanno. Rubei fu lo storico segretario della Sezione Monteverde e creò tanti piccoli circoli culturali e di musica dirigendo il settore delle Iniziative Parallele. È tra i fondatori e gli organizzatori dei famosi Campi Hobbit nelle tre edizioni del 1977, 1978 e 1980. Nel gennaio del 1983 inaugura l' "Ora di Musica" che  dava la possibilità a tutti gli studenti romani di esibirsi per due giorni sul palco del Teatro Tenda. Nel 1984 fonda l’Alexanderplatz Jazz Club, considerato tra i migliori 100 jazz club al mondo. Rubei ha portato a Roma Chet Baker, Chick Corea, Wynton Marsalis, Ray Brown, Tony Scott, Benny Golson, Billy Higgins, Michel Petrucciani, Michael Brecker, Joshua Redman, Joe Lovano e tanti altri. Nel 1986 inizia la collaborazione con l'Assessorato alla Cultura del Comune di Roma, durata fino al 1990, per la direzione del Roma Jazz Festival al Teatro Olimpico. Era uno che parlava a tu per tu con l'assessore Gianni Borgna perché per nulla spaventato dal confronto con l'avversario politico. Nel 2011 è diventato direttore artistico della Casa del Jazz di Roma fino al 2014.

Dietro alla targa c'è il lavoro dei consiglieri di Fratelli d'Italia che in Municipio I hanno avanzato la richiesta di ricordarlo.  
«La Politica è Radici - scrivono Stefano Tozzi e Andrea De Priamo di FdI - Per un nuovo Sentimento Popolare.
Bellissima giornata stamattina alla Casa del Jazz con l’inaugurazione di fronte alle autorità cittadine della targa a Giampiero Rubei, grande ed indimenticato animatore culturale. Oggi le istituzioni hanno messo da parte ogni divisione politica ed hanno reso omaggio ad una figura che pur avendo una forte identità politico culturale è stato un riferimento assoluto e trasversale. Proposi la mozione in Primo Municipio e da li tutto è nato. Erano presenti la famiglia, tutti i vecchi amici e i musicisti più importanti del Jazz italiano. Grazie anche tutti coloro che lavorando in silenzio hanno consentito di superare ogni ostacolo. Questa trasversalità ci dice che, Roma per rinascere, ha bisogno di un nuovo Sentimento Popolare che unisca aldilà delle appartenenze politiche tutti quanti
». 

E per capire quanto Roma, e il jazz, debbano a lui basti pensare che l'attuale assessore alla cultura Luca Bergamo alla cerimonia ha citato i Campi Hobbit di Giampiero Rubei, quando riflettendo sul senso e i luoghi di appartenenza (all'epoca c'era chi veniva relegato nelle "fogne") diceva: «Bisogna trovare il modo di spezzare l'accerchiamento culturale e la musica è il mezzo giusto». 
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