«Mancano politiche al passo con la tecnologia e per la competitività servono regole certe»

«Mancano politiche al passo con la tecnologia e per la competitività servono regole certe»
di Roberta Amoruso e Giusy Franzese
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Giovedì 13 Giugno 2019, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 11:36

Accompagnare la crescita significa anche questo: tracciare un quadro legislativo che abbia lo stesso passo possibilmente della tecnologia e sia perfino capace di anticipare trasformazioni cruciali come quelle obbligate del settore energetico. Soltanto così si attiva quel circolo virtuoso che, visto da Claudio Descalzi, può alimentare gli investimenti in tecnologia e dunque spingere la crescita, non soltanto quella energetica. A patto però che non si cambino continuamente le carte in tavola per settori come quello farmaceutico che imbocca un percorso di 12 anni di ricerca e di investimenti prima di riuscire a lanciare un farmaco. Tanto per sottolineare come la «stabilità regolatoria», secondo Lucia Aleotti del gruppo Menarini, è anche quello che ha permesso a un settore ad alta tecnologia, con 32 miliardi di produzione, oltre il 70% esportato, di vedere crescere gli occupati del 10% e gli investimenti del 33% in soli tre anni. Ora l’aria è un po’ cambiata, «c’è più difficoltà di dialogo» con il governo, osserva preoccupata l’imprenditrice fiorentina.

Ma sia chiaro, non è l’industria che deve bussare alla politica. Forse altrove si usa la politica. «Noi usiamo la tecnologia», l’altra faccia della rotta per sicurezza energetica accanto al fronte geopolitico, dice Descalzi, in un Paese che importa il 90% dell’energia. La rotta «si crea da sé» come abbiamo fatto in Medio Oriente, per esempio, vincendo 16 gare su 18 grazie all’innovazione. Altra cosa per Descalzi, è dire che ci dovrà essere un sistema normativo che sia attento alla trasformazione. L’obiettivo è utilizzare sempre meno olio e gas, e una strada cruciale è l’economia circolare. «Abbiamo la tecnologia e i prototipi per trasformare in energia i rifiuti organici, ma non abbiamo ancora un quadro normativo che ci permette di prendere quei rifiuti».
Quadro normativo, ma anche più integrazione tra pubblico e privato. Così da poter mantenere livelli adeguati di protezione - nella sanità e più in generale nel welfare - anche in una situazione di risorse scarse o non adeguate. 

Salvaguardare la coesione sociale, secondo Carlo Cimbri, è fattore indispensabile per una crescita sana del Paese. In Italia - ricorda Cimbri - «le persone sono abituate ad avere una copertura integrale per la sanità, l’istruzione, la previdenza. È normale pensare che debba occuparsene lo Stato. Ma in una situazione in cui lo Stato ha risorse meno ampie rispetto al passato, e non può fare altro debito visto che è già così elevato, la spesa pubblica si riduce. E qui entra in ballo l’assicurazione, grande mutualizzatore di rischi e redistributore di risorse». Evitare che livelli adeguati di sanità e protezioni sociale siano accessibili solo ai ricchi (già attualmente il 30% della spesa sanitaria è pagato dai privati), secondo Cimbri è possibile «facendo evolvere l’integrazione tra pubblico e privato». Il mondo delle assicurazioni è pronto. Stesso discorso per la previdenza dove soluzioni come Quota 100 non solo non risolvono, ma aggravano. «L’equilibrio del sistema previdenziale non si fa con le opinioni e la filosofia, ma con i numeri» dice il top manager. E l’equilibrio prevede che i contributi versati da un’ampia base di lavoratori sostengano gli assegni dei pensionati. «O si lavora per far aumentare la base, oppure non si può abbassare l’età pensionabile». E per aumentare la base il circolo è sempre lo stesso: più sviluppo, più crescita, più posti di lavoro, più contributi. Tra l’altro, il fattore demografico non ci aiuta: siamo un paese vecchio in un continente vecchio. In questo senso sarebbe bene trasformare l’immigrazione da problema oggettivo a opportunità, riuscendo a far rimanere in Italia immigrati qualificati.
 

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