Riccardo De Palo
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di Riccardo De Palo

Luca Briasco: «Così ho portato Don Winslow e Joe Lansdale nelle librerie italiane»

Luca Briasco (a sinistra) con los crittore ameriano Chris Offutt
di Riccardo De Palo
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Domenica 9 Giugno 2019, 15:59
Cominciamo con questa intervista un viaggio nel mondo dell’editoria dedicato ai suoi protagonisti, che lanciano grandi successi, restando spesso nell’ombra. Luca Briasco, 55 anni, è editor, agente letterario, scrittore e traduttore. In una carriera ormai più che ventennale ha fatto conoscere agli italiani autori come Don Winslow, Joe Lansdale, Jo Nesbø.

«Avevo quattordici anni quando mio padre, che era arrivato alla letteratura americana attraverso Pavese, Vittorini, Fenoglio, mi mise in mano I quarantanove racconti di Hemingway. Fu una folgorazione, la nascita di una passione che non mi ha più abbandonato». Luca Briasco ricorda quei giorni con la stessa luce negli occhi di allora, nella redazione romana di Minimum Fax, la sua ultima scommessa editoriale. «Passai a William Faulkner, a Francis Scott Fitzgerald, ho fatto i miei piccoli atti di ribellione con Sulla Strada di Jack Kerouac, la Beat Generation; fino ad approdare a Moby Dick - opera su cui mi sarei poi laureato - e, dai vent'anni, i postmoderni: Don DeLillo, Thomas Pynchon. Agostino Lombardo, tra i primi ad ottenere a Milano la cattedra di letteratura angloamericana, è stato il mio maestro».

E quindi ha deciso di mettere a frutto la sua passione.
«Negli anni Novanta era molto più facile rispetto a ora; assieme a Mattia Carratello (che adesso è editor di Sellerio) abbiamo cominciato a leggere insieme, e poi a proporre, autori americani ancora inediti: trovammo uno spazio in Fanucci, e nacque la prima collana, Avantpop».

Ma non si fermò certo lì.
«Sono rimasto in Fanucci dal 98 al 2006. Einaudi Stile Libero nacque nel 96 e fu tra le prime case editrici a cui bussammo; c'erano Paolo Repetti e Severino Cesari, (scomparso due anni fa, ndr); e la ragione per cui cominciarono ad avvicinarsi a David Foster Wallace ebbe molto a che fare con il nostro colloquio. In quel periodo lo conoscevamo in quattro: Marco Cassini, qui a Minimum Fax, Sandro Veronesi che lo portò a Fandango e poi noi, che lo pubblicammo con Stile Libero».

Wallace è amato o detestato.
«È un autore molto divisivo, senza mezze misure. Chi lo odia non sopporta una certa esibizione dell'intelligenza; e chi lo ama scopre le fragilità, l'umanità, nascoste dietro l'apparenza. A chi mi chiede cosa leggere di lui, posso dire di cominciare con Una cosa divertente che non farò mai più o Brevi interviste con uomini schifosi, ma di affrontare la complessità di Infinite Jest solo se appassiona».

Come andò con Stile Libero?
«Con Severino parlavo per ore, era l'uomo delle grandi idee. Paolo sapeva fiutare un successo editoriale in modo fulmineo. Abbiamo lavorato assieme per dieci anni, fino al 2016. Anche lì, lavoravamo in due: con Angela Tranfo tutte le scelte erano condivise. Sorvegliavamo quello che avveniva all'estero, perché dovevamo acquisire una trentina di titoli l'anno: soprattutto narrativa, letteratura di genere. Abbiamo preso Open di Agassi, Don Winslow, Joe R. Lansdale, Jo Nesbø».

Perché finì quell'esperienza?
«Per la malattia di Severino, che per me è sempre stato un interlocutore importante, ma anche perché erano cambiate tante cose nell'editoria. Il peso del marketing era cresciuto mentre la componente fondamentale, quella dell'inventiva pura dell'editor, era andata scemando. Open di Agassi non era un libro che poteva essere acquisito sulla base della presunta vendibilità: tutte le autobiografie dei tennisti erano andate male, quella di McEnroe non aveva superato le tremila copie. Invece, quel titolo andava comprato perché era un libro meraviglioso scritto da uno straordinario autore ombra, J.R. Mohringer, Premio Pultizer con Il bar delle grandi speranze; e la storia, incentrata sul rapporto con il padre, era affascinante. Fece mezzo milione di copie».

Di qui l'avventura con Minimum Fax.
«Un editore indipendente, ma anche un marchio prestigioso. Sono entrato in società con Daniele Di Gennaro. È stata una scelta: le grandi aste internazionali non le posso fare perché c'è un problema di budget differenti, però si può costruire un piano editoriale, lavorare a un progetto»

Tra i primi successi, la riscoperta di Herbert Lieberman, un autore straordinario quanto misconosciuto.
«Ho sempre cercato di fare ricerca per conto mio, al netto dei libri che mi arrivano, come editor e come agente letterario. Lieberman è un autore che era finito completamente fuori radar; persino in America era disponibile soltanto in ebook. Poi ho scoperto che aveva vinto il premio più importante in assoluto dei polizieschi, in Francia, unico Paese dove continuava ad essere pubblicato. Città dei morti è stata una scommessa vinta; così come è stato un successo Chris Offutt, un altro autore straordinario e completamente sconosciuto in Italia».

Quali sono gli autori che ha fatto conoscere all'Italia e di cui è più fiero?
«Don Winslow, ovvero il migliore scrittore di crime americano degli ultimi anni; William Vollmann, il più grande irregolare insieme a Wallace; infine, Chris Offutt e Dorothy Allison, due esempi perfetti di una linea di ricerca che dall'America metropolitana e ipercontemporanea sposta lo sguardo verso le sacche più profonde del Paese».

La prossima scoperta?
«Furious Hours di una scrittrice americana, Casey Cep, che ha ricostruito un caso giudiziario incredibile, in Alabama, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, in piena stagione dei diritti civili, con Harper Lee che indaga per scrivere un nuovo A sangue freddo. Una storia perfetta per una serie tv. Negli Stati Uniti uscirà per Knopf, la quintessenza dell'editore letterario. Per l'Italia siamo riusciti ad acquistarlo noi. Siamo stati molto, molto veloci».

Lei è anche traduttore di Stephen King e Lansdale.
«Riesco a tradurre poco ma tutti i giorni. Ho dovuto rallentare, ma si fa per dire: sono due scrittori così prolifici».

Lei è amico di molto dei suoi autori, è vero?
«Di Lansdale, tantissimo. Ho un rapporto molto buono con Winslow, scrittore di grandissima qualità ma anche persona affascinante, con un suo lato oscuro. Michael Cunningham e Jeffrey Eugenides sono deliziosi, come Joyce Carol Oates. Vollmann l'ho avuto ospite a casa mia, è un altro personaggio incredibile, forse il più grande. Gli scrittori americani non hanno sovrastrutture, ti trattano da pari a pari».
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