Carlo Nordio
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Magistrati e politica/Solo un sorteggio può salvare le toghe dal mal di corrente

di Carlo Nordio
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Venerdì 7 Giugno 2019, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 00:14
Il ministro Matteo Salvini ha riproposto l’annoso problema delle esternazioni dei giudici. 
Esternazioni in merito a vicende, o a leggi, sulle quali gli stessi giudici sono poi chiamati a pronunziarsi. Lo ha fatto con riguardo al trattamento dei migranti, chiedendo accertamenti sulle eventuali pubblicazioni o partecipazioni a dibattiti di magistrati che poi hanno deciso in un certo modo. 

L’Anm, Associazione nazionale magistrati, ha gridato alla scandalo, e qualcuno ha evocato il “dossieraggio”. Ma l’irruento ministro dell’Interno avrà pensato che, in questo momento di grave disagio – per non dire peggio – della magistratura, fosse arrivato il momento di togliersi qualche sassolino. Per conto nostro pensiamo che i giudicanti debbano esser vincolati al più rigoroso silenzio: se infatti parlano fuori dalle sedi giurisdizionali si espongono a legittime critiche, la loro imparzialità viene compromessa, e il sospetto che vogliano inserirsi nel dibattito politico è pienamente giustificato.

Questo sospetto, peraltro, è aggravato a dismisura dalle recenti vicende, dove le contiguità tra toghe e politica emerge come un’allarmante novità. Novità, s’intende, solo per chi non ha mai frequentato i vociferanti palazzi di giustizia o il più felpato Palazzo dei Marescialli. Questo intreccio è infatti sempre esistito e le nomine decise dal Csm per le cariche più ambite sono sempre state frutto di accordi tra le correnti associative e i partiti ideologicamente più vicini. Neanche qui occorre far dossieraggio: basta guardare i verbali delle votazioni. Sarà anche utile ricordare che molte anime belle che oggi gridano allo scandalo sono state nominate con il voto determinante dell’odierno inquisito e della sua corrente. 
Del resto il dottor Palamara, in un’intervista televisiva, ha tranquillamente ammesso, o ammonito, che a lui si erano rivolti sia politici sia magistrati in occasione delle scelte più delicate. E non si tratta solo dei politici e delle toghe finite in questi giorni sui giornali.

In questo panorama più che sconfortante, dove la Magistratura e il suo sindacato rischiano di scivolare verso una rovinosa china di discredito, è dunque possibile che Salvini abbia lanciato il primo dei suoi sassi nello stagno. A parte, ripetiamo, la forma di questo intervento un po’ emotivo, la sostanza è infatti dannatamente seria, e riguarda l’intero complesso dei rapporti tra magistrati e politica. Un rapporto reso ambiguo non solo dalla lottizzazione del Csm, ma dallo stesso viavai delle toghe che entrano ed escono dalla politica attiva come se fosse la cosa più naturale del mondo: mentre naturale non lo è affatto, e ogni candidatura di un giudice costituisce una picconata al principio della divisione dei poteri. 

Non solo. Poiché molti magistrati, soprattutto nel settore penale, sono entrati in possesso di informazioni sensibili, anzi, sensibilissime, su soggetti intercettati o comunque indagati, qualche malizioso potrà pensare che - una volta entrato in parlamento o al governo – questo magistrato possa farne un uso improprio. Sarebbe un sacrilegio se accadesse: ma non è un sacrilegio pensarlo.

Che fare allora? Per il Csm il rimedio è semplice: il sorteggio. Non il sorteggio tra gli ignari passanti, ma nell’ambito di un gruppo di magistrati, avvocati e docenti universitari di adeguata anzianità e titoli di merito. Solo così si può spezzare il cordone perverso che lega elettori ed eletti, e rende il Csm la proiezione delle correnti e, in misura minore, degli stessi partiti.

Per quanto poi riguarda i singoli magistrati, occorre vietare la loro candidatura mentre sono in servizio e anche dopo, perché non deve esserci neanche il sospetto che, mentre vestiva la toga, il giudice abbia pensato di sfruttarla per prepararsi un buon ritiro pensionistico. Solo così si potrà iniziare l’opera di ricostruzione di una credibilità che oggi sembra incrinata e quel che è peggio, come tutto lascia supporre, destinata a diminuire ancora.
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