Giulio Sapelli

Riflessioni dopo Visco/ L’inflazione, i tassi reali e la ricchezza degli italiani

di Giulio Sapelli
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Domenica 2 Giugno 2019, 23:59
Nel 1994 pubblicai uno smilzo volumetto per i tipi della Feltrinelli Editore intitolato “Il capitalismo italiano-Trasformazione o declino”. Il ragionamento era assai semplice e guardava alla prossima unificazione monetaria europea che aveva di già mosso i passi decisivi con la politica agricola e la cosiddetta moneta verde come unità unica di conto e si apprestava a definirsi secondo le seminali indicazioni teoriche di Robert Triffin. Un sistema a cambi fissi tramite currency board avrebbe liberato le potenzialità dell’economia tedesca abbassando il valore di una moneta come il marco che era la più forte del mondo sostituendola con l’euro che sarebbe stato assai più debole. 
Ma ciò che mi interessava seguendo gli insegnamenti dei classici dell’economia era che allorché si fosse adottata la moneta unica, le svalutazioni competitive in cui il capitalismo italiano eccelleva per ovviare a ritardi nella produttività e nell’efficienza e aziendale e sociale, non sarebbero state più possibili. Avremmo dovuto ricorrere - e con noi le altre economie dell’Europa del Sud - a quelle che Michel Kalezchy chiamava le svalutazioni interne, ossia all’abbassamento dei salari e dei margini di profitto con inevitabile sorgere di una deflazione prolungata.
Se si ragionava sul fatto che si sarebbe altresì inverata una politica della concorrenza europea, ben diversa da quella nord americana responsabile dinanzi ai produttori e non solo ai consumatori (come si fa in Europa), la trasformazione del modello di sviluppo sarebbe stato inevitabile. 
A ciò pensavo ascoltando con attenzione la bella e severa relazione del governatore Ignazio Visco il quale, al tema dell’inflazione versus deflazione, ha dedicato riflessioni di grande interesse. Su di esse sarebbe molto utile aprire un dibattito impolitico ossia, come diceva Antonio Gramsci, fuer ewig (ossia per l’eternità ossia per il gusto di ricercar la verità). Infatti è pur vero che oggi non corriamo rischi inflazionistici e i rendimenti dei nostri titoli di Stato sono tra i più bassi mai riscontrati nella nostra storia così come è dei prezzi delle merci che vanno ai consumatori. Tuttavia, il tasso reale per i risparmiatori che acquistavano titoli di Stato negli anni inflativi, e che nel mentre acquistavano merci, era più o meno lo stesso. Per coloro, poi, che non acquistavano quei titoli ma si limitavano a depositare in banca i risparmi, i rendimenti consentivano piccoli sostegni a un reddito che in tal modo veniva irrobustito, così come i margini delle banche. Un conto è infatti un’inflazione al 20% con i Bot che rendevano fino al 22% e tassi d’interesse in linea; altro conto è un’inflazione all’1% con Btp al 2,7% e tassi attivi (per le banche) che sfiorano il 4%. 
Tutto ciò porta concludere che occorrerebbe aprire un dibattito serio sulla questione, magari rispolverando proprio Kalezchy, perché il tema sollevato dal governatore è di rilevante importanza per dare alla moneta unica - nostro destino irreversibile, lo si voglia o no - un indirizzo economico più attento alle ragioni dei produttori e quindi dei lavoratori.
Il mondo reale è fatto di persone che certo sono percettori di redditi cosiddetti autonomi, ma altresì di lavoratori stipendiati oppure di imprenditori che si reggono sul profitto. La deflazione prolungata, quel profitto inevitabilmente lo erode e allora non vi è innovazione produttiva o anche organizzativa che tenga: alla lunga tutto si frantuma. Insomma, anche la stagnazione deflativa è pericolosa come non mai, perché sradica la società tanto quanto l’inflazione troppo alta e alla fine il rimedio può rivelarsi peggiore del male. 
Ciò che conta in ogni caso, la si pensi come si vuole, è sottolineare il fatto che in Italia possiamo ascoltare relazioni del governatore della Banca centrale che non si limitano a fotografare la realtà ma che fanno discutere e pensare. 
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