Paolo Graldi
Paolo Graldi

È una parte di Roma, ma regnano i clan

di Paolo Graldi
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Giovedì 30 Maggio 2019, 00:00
Un fatto di cronaca nera a Ostia ripropone i termini di una giungla criminale.
Una giungla criminale che sembra invincibile. In primo piano, stavolta, una rissa scatenata per un complimento sconveniente verso una ragazza. Due ragazzi egiziani quelli delle parole grosse. Pochi istanti e saettano coltelli e cacciaviti, scorre tanto sangue. 

Violenza pura, riappare l’assalto organizzato di una paranza criminale. Un giovane egiziano 19enne portato all’ospedale col ventre squarciato da un fendente non sopravvive alle ferite. Gli assalitori identificati e arrestati dai carabinieri attraverso un’azione quasi fulminea: tutti soggetti conosciuti agli investigatori, copiosi precedenti penali, tutti appartenenti a quella rete che puzza di mafia, già bollata da diverse istruttorie e processi, su su fino in Cassazione. 

Lasciata crescere per anni nell’indifferenza e qualche volta con la complicità di parti delle istituzioni locali la malapianta dell’abuso, del ricatto, dello spaccio, del gioco d’azzardo, dell’usura si è costituita in clan arroganti e corsari, forti della protezione omertosa dei suoi membri ma anche della paura che sapevano incutere.
Gli Spada, i Fasciani i clan più consolidati, ramificati, protagonisti di un malaffare a largo raggio, che ha potuto espandersi e consolidare potere e forza economica. Poi, più di recente, a partire dall’amministrazione Marino e soprattutto attraverso l’azione dell’assessore Alfonso Sabella, già magistrato antimafia che ha assestato i primi colpi, la gravità della rete è apparsa in tutta la sua estensione ed intensità. 

E sono iniziati le inchieste, i blitz, gli arresti, le istruttorie, i processi. Ostia, ha disvelato la sua parte malata, marcia, corrotta, infiltrata, collusa. Un quadro allarmante per la densità degli affari sporchi e illeciti che viene tuttora combattuto con determinazione. E la guerra ai clan, pur illuminati da una pubblicità dei media certo indesiderata, la sequenza di arresti, di sequestri di beni, di intere partite di droga, di macchine per il gioco d’azzardo truccate, per arrivare alla rapina di pezzi preziosi d’arenile attraverso stabilimenti fuorilegge, non ha ancora spazzato via le radici delle organizzazioni. 

La proditoria testata al giornalista della trasmissione “Nemo” da parte di Roberto Spada, ha acceso luci investigative su zone troppo a lungo rimaste in ombra, ha scoperchiato molte pentole e arricchito il quadro complessivo delle famiglie padrone del crimine di Ostia. Ma è significativo che gli arrestati per la rissa della stazione del Lido rivelino una “qualità” criminale specifica. Il padre della quindicenne offesa, colui che ha orchestrato la rissa, è un pregiudicato: droga, rapine, estorsioni. 

È figlio di un altro pregiudicato ch’era componente della manovalanza del clan degli Spada, considerato un «rapinatore da batteria». Le “batterie”, gruppi ben addestrati e determinati, specializzati in assalti di diverso tipo. È bastato un attimo, l’altra sera per raccogliere sei o sette affiliati e dar luogo alla spedizione punitiva finita a coltellate e adesso con la morte del giovane. Prevale, qui, la logica mafiosa dello sgarro pagato con la vita, subito, senza alcuna intermediazione. La complicità è cementata dal codice del clan che sa mobilitare all’istante le sue forze, in qualsiasi direzione. La rissa finita in omicidio è l’ennesimo segnale di una situazione, nel quartiere più grande di Roma, di un dominio delle bande che necessita di una pressione se possibile ancora più serrata e a largo raggio. 
Si è fatto molto e bene da parte delle forze dell’ordine: fior di arresti e sequestri di beni hanno inferto colpi durissimi ai clan che vivevano vantando una sorta di impunità illimitata e permanente. Ma evidentemente non basta ancora. E i segnali di pericolosa persistenza del crimine in questa vasta area, devono incoraggiare a rinforzare il fronte delle investigazioni. Fino a poter dire: il Far West non abita più qui. 
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