James Conlon: «La musica classica non è d'élite e io la porto a domicilio»

Il Maestro James Conlon, direttore musicale dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
di Simona Antonucci
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Martedì 28 Maggio 2019, 20:24
 L’appuntamento mattutino con il Titano di Mahler... L’ha diretto lui. La magia della Creazione di Haydn in salotto... è opera sua. «Non esistono regole sull’ascolto, affaccendati nella routine o in poltrona, l’importante è sentire. L’emozione arriva comunque».

Un americano a Torino, James Conlon, 69 anni, direttore dell’Orchestra sinfonica nazionale della Rai, richiesto nei teatri del mondo: è lui che manda gli auguri di Natale dall’Auditorium Toscanini, che dà il ritmo alla notte di Capodanno, che dirige il Concerto di Carnevale, di Pasqua, i brani dedicati ai bambini. E che in diretta su Radio3 e su Rai5 dalla sala torinese trasmette anche a chi è rimasto a casa, in macchina, in ufficio, in ospedale, la bellezza del grande repertorio italiano e internazionale.

La stagione dei concerti dell’Orchestra Sinfonica della Rai (a Torino c’è l’unica sopravvissuta dalla fusione delle quattro formazioni originarie) si appena conclusa dopo 22 appuntamenti e il trionfo di Petrenko, e quella nuova è stata appena annunciata: tra i direttori ospiti Gergiev, Harding, Luisi, Gatti e Chung che affiancheranno Conlon nella “maratona”.

Che cosa ascolteremo?
«Proporrò repertori differenti, dalle pagine otto-novecentesche di autori come Schubert, Čajkovskij, Bartók, Prokof’ev e Šostakovič, al programma tutto mozartiano, fino a Il crepuscolo degli dei».

Un titolo a cui tiene particolarmente?
«Il preludio dall’opera Die Gezeichneten (I predestinati) di Schreker, compositore oscurato dal nazismo, e un monumento sinfonico-corale come la Seconda Sinfonia di Mahler
».

La diretta radio o tv la condiziona?
«Portare la musica classica a domicilio è un privilegio. Un onore essere ascoltato anche da chi non frequenta concerti. Assurdo pensare che si tratti di un genere rivolto a un élite. Radio e tv sono strumenti fondamentali per abbattere certi pregiudizi. Da ragazzino, a New York, quando decisi che la musica sarebbe stato il futuro, i miei genitori mi accendevano la radio».

È vero che ha fatto il musicista per amore di Violetta?
«Avevo 11 anni. La Traviata è stata la prima opera che ho visto. Un fulmine. Nel giro di due anni mia madre prese in mano tutto. Sapevo che quello che volevo fare era dirigere. E così, da Queens, il mio panorama divenne il mondo».

Un quartiere con diversità etniche: ha arricchito la sua formazione?
«Mi ha aperto la testa e raffinato l’udito. Anche i miei bisnonni a inizio Novecento erano immigrati italiani. Noi, Stati Uniti, siamo un Paese di immigrati. La politica di Trump è vergognosa e soprattutto non è americana».

Dopo sua madre, un’altra donna che ha scommesso sul suo talento: Maria Callas. Che cosa ricorda di lei?
«La adoravo. Venne alla Juilliard school a fare una masterclass. Mi segnalò al preside e così mi chiamarono per il mio primo lavoro a pagamento. Ma non è per questo motivo che la ricordo. La Callas mi ascoltò dirigere un passaggio del quarto atto di Bohéme. E mi disse: Maestro... Io rimasi colpito che mi chiamasse così. E aggiunse: se dirige così, lei è un Maestro perché in quel momento l’orchestra deve cantare tutto l’amore dell’universo. Ogni volta che dirigo quell’opera penso a lei che cercò di trasmettermi l’immensità dell’amore».

Com’è la sua “seconda” vita a Los Angeles dove è responsabile dell’orchestra?
«Lì sono riuscito a portare la tetralogia di Wagner, l’Anello del Nibelungo, per la prima volta. Ma suono opera o sinfonica a Los Angeles e nel mondo. Non prediligo un genere, né un Paese. La musica è musica, ovunque. È un po’ il mio credo».

La riscoperta di compositori oscurati dal nazismo per lei è una missione.
«Non vivrò abbastanza per completare la ricerca.
Ma le soddisfazioni sono già immense. Ho fondato un sito Orelfoundation.org e c’è un pubblico di appassionati, studiosi che segue le opere di Zemlinsky e di autori perseguitati come Ullmann, Haas, Weill, Korngold, Hartmann, Schulhoff, Ernst Krenek. Un patrimonio da tutelare». 
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