La via crucis delle donne chirurgo: «Molestie e discriminazioni per arrivare in sala operatoria»

La via crucis delle donne chirurgo: «Molestie e discriminazioni per arrivare in sala operatoria»
di Raffaella Troili
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Martedì 28 Maggio 2019, 08:56 - Ultimo aggiornamento: 12:11

Ce la mettono tutta i vecchi baroni ad allontanare le allieve di Medicina, specie quelle brave naturalmente. La casta è tra le più dure e antiche. Lì il gender gap si misura in chilometri. Altro che divario. Ci hanno provato anche con Gaya Spolverato, dal 2015 presidente e co-fondatrice assieme a Isabella Frigerio, di Women in Surgery Italia. Sposata, ha 34 anni e una bambino di 3 mesi, Achille. Vive e lavora all'ospedale di Padova dopo anni a New York, come chirurga oncologa. «L'associazione è nata per raccogliere discriminazioni, provare a difendere le donne che svolgono questa professione» . Dicevamo ci hanno provato, anche con lei. «Resta forte la tendenza, dalla scuola di medicina alla professione, ad allontanare l'idea, la volontà di diventare chirurga di mestiere».

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Da grande farò il chirurgo, resta un sogno pieno di ostacoli. C'è chi si appiglia ai tempi di resistenza, chi né fa una questione di genere.
«Una volta le donne non entravano in sala operatoria. Era appanaggio totalmente maschile: quando il numero di donne è aumentato, ha superato il 51 per cento, solo a quel punto ci si è accorti che qualcosa doveva deve cambiare». Ma la strada è in salita. "Passami il bisturi" è sempre in agguato. «Il sistema attuale è basato su una disorganizzazione totale della settimana lavorativa, inoltre l'impossibilità di venire sostituite durante la maternità rende la presenza di una donna in un reparto gravosa». Un muro, inflessibile, a misura di uomo. «Le leggi a tutela della maternità in Italia prevedono che le donne che svolgono professioni a rischio siano esentate dalla dall'attività chirurgità in sala operatoria per tutti i nove mes piu i 3/4 del post partum. Un periodo che coincide di solito tra i 30 ei 40 anni di età e in cui le donne sono totalmente svantaggiate rispetto agli uomini nell'avanzamento di carriera». Non c'è modo, sistema lamenta la dottoressa Spolverato nemmeno di aggirare le leggi. «Così finisci per passare per quella che mette in difficolta un reparto, non esiste modo per tutelare la donna neppure dalle critiche. Per giunta una volta tornata al lavoro non può svolgere turni notturni fino ai 12 mesi. Non è previsto part time, non esistono nidi aziendali. Insomma è una struttura a imbuto che impedisce l'affermazione».

Non è finita. «A questo si aggiunge l'altro grosso problema di quanto per noi donne sia difficile in scienza e medicina ottenere finanziamenti per la ricerca (meno pubblicazioni hai, meno sei conosciuto a livello internazionale). Le colleghe fanno quello che possono ma non vanno avanti da sole.  E' difficile essere un esempio, il mentore è sempre un uomo, poche donne hanno una posizione di leadership. I colpi bassi hanno questi termini “non sono adeguate a livello cognitivo e manuale”. Entrano in campo quando gli uomini lanciano i guanti, stanchi di lavorare.

«Essere reperibili è il vero ago della bilancia: ma bisogna investire sul capitale umano delle donne per riuscire a includerle davvero nel mondo maschile dell'università e della chirurgia. Ma in questo abbiamo bisogno del supporto degli uomini». Gaja Spolverato non fa giri di parole, non pensa di poter cambiare il mondo. Si è laureata nel 2010, nel 2004 un prof del primo anno domandò «chi di voi vuol fare il cardiologo? Chi il medico generale, chi il radiologo?». Quando chiese «chi il chirurgo? alzai la mano solo io e lui rispose velocemente “a parte che sei una donna, chi di voi vuol fare il chirurgo?».

Un capitolo a parte merita quello delle donne vittime di sexual harrassment. «Molestate sessualmente, altrimenti è difficile avanzare professionalmente: vogliamo creare un blog anonimo dove chiunque può entrare e descrivere situazioni e ricevere consigli». Da un recente questionario inviato alle maggiori società chirurgiche italiane è emerso che il 76 per cento delle donne intervistate ha subito discriminazioni gender durante la formazione contro il 26 per cento degli uomini. «Oltre il 90 per cento ha avuto un mentore ma solo nel 9% dei casi era una donna. Infine il 74 per cento delle intervistate avrebbe voluto avere piu figli ma ha rinunciato per motivi professionali. Un nido aziendale sarebbe stato utile a circa il 94 per cento. Oltre il 70 per cento ritiene l'essere donna un ostacolo alla carriera chirurgica».

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