Marco Gervasoni

Le tante Europe/Nel caos Ue, liberali ago della bilancia

di Marco Gervasoni
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Lunedì 27 Maggio 2019, 03:50
Ma quante versioni di Europa esistono? È questa la domanda che ci poniamo, a guardare i primissimi scrutini di alcuni Paesi Ue. Esiste cioè un’Europa omogenea per famiglie politiche? Esiste un’Europa omogenea in cui le diverse famiglie politiche abbiano raccolto in tutti i Paesi della Ue risultati uniformi, ancorché diversi da Paese a Paese? La risposta è no. Mai come in queste elezioni abbiamo visto formarsi tante europe diverse, in cui partiti o movimenti fortissimi in alcuni Stati, sono inesistenti in altri.

Cominciamo dai sovranisti. Se guardiamo all’emiciclo di Strasburgo, lo sfondamento non c’è. Sono primi in Italia e in Francia. Non si può però dire che esista un’Europa mediterranea sovranista, perché in Spagna Vox cresce ma non si impone, mentre in Portogallo e in Grecia i movimenti sovranisti sono inesistenti. Per contro, il sovranismo è robusto nella Europa orientale, con Orban in Ungheria e il Pis in Polonia, e tiene in Austria nonostante gli scandali che hanno colpito la Fpo. E poi all’Europa sovranista va aggiunto il Regno Unito, con il clamoroso successo di Farage, che spinge però il Paese ancora più nettamente verso l’uscita dalla Ue in ottobre.

C’è poi un’Europa verde, con il notevole successo in Germania e poi gli ottimi risultati in Francia e nei Paesi scandinavi. E l’Europa dei popolari? Svetta in Austria, dove tocca il suo massimo da quando il Paese è entrato nella Ue, nel 1995, tiene in Germania, nonostante la flessione della Merkel, mentre sembra in crisi in Francia e in Spagna.

Quanto all’Europa socialista, quella del Pse, è in lento declino: nei due Paesi più importanti della Ue, Germania e Francia, nel primo è crollata e nel secondo supera a mala pena la fatidica soglia del 5%. Va bene in Spagna, e poi in qualche Paese del Nord Europa, ma nulla più.

Cosa si può concludere, a dati parziali, e a impressioni a caldo? In primo luogo la fine del mito di Macron. Se confermato, il superamento della Le Pen non mette in discussione la presidenza e forse neppure il governo, ma certamente incrina, se non polverizza, la narrazione macroniana, appunto il suo mito. Non solo Macron non sarebbe riuscito a guarire il Paese da quella che aveva chiamato la « peste sovranista » ma l’avrebbe fatta ulteriormente crescere in casa, come un Hollande qualsiasi. A questo punto le sue carte di riformatore della Ue, già rese poco credibili dai gilet jaunes, valgono poco di fronte alla Germania.

In secondo luogo, se Parigi piange, Berlino non ride. Se è vero che la Cdu ha tenuto, il crollo della Spd (al minimo storico) mette profondamente in discussione il governo: vorrà la Spd continuare a far parte di un’esperienza, ormai pluriennale, la Grande Coalizione, che si sta concludendo con un prosciugamento dei voti? A vantaggio di chi? Chiaramente dei verdi, diventati secondo partito ed è questo il terzo elemento. Sui verdi. e soprattutto su quelli tedeschi, occorre precisare tuttavia che non si tratta di formazioni di sinistra, termine che essi stessi rigettano. E però sono anche partiti con fragile impianto organizzativo, che nella loro storia possono raccogliere molto successo nei voti di opinione, come quello per il parlamento della Ue, ed essere più deboli in elezioni politiche (come è il caso dei verdi scandinavi).

Ultimo elemento: il risultato sul parlamento Ue e sulle alleanze.
Presto per dirlo ma spingendoci in una previsione potremmo usare questa metafora: la palude. Sembra quasi certo che i popolari e i socialisti dovranno allargarsi non solo ai liberali dell’Alde. Un insieme che però difficilmente saprà accordarsi su quelle profonde riforme necessarie affinché la Ue non si disintegri: se già socialisti e popolari erano finiti nell’impasse, figuriamoci con altri partner. La Ue multicolore attende una sua ricomposizione dietro a un asse preciso: ma al momento non lo si vede all’orizzonte.
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