Paolo Balduzzi
​Paolo Balduzzi

I nostri conti e le urne/Il lungo anno delle tre spese senza crescita

di ​Paolo Balduzzi
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Sabato 25 Maggio 2019, 00:21
Per una strana coincidenza del calendario, l’appuntamento elettorale europeo di domani coincide quasi perfettamente con la scadenza del primo anno del governo Conte, in carica dal 1° giugno 2018. 
Anche se la coincidenza cronologica è ovviamente causale, i due eventi sono comunque strettamente collegati. Da un lato, è evidente che il risultato di queste elezioni potrà avere ripercussioni sulla tenuta o sulle scelte politiche del governo stesso.

Dall’altro, proprio l’attività del governo in quest’anno ha fortemente condizionato le nostre relazioni con le istituzioni europee e con gli altri Paesi membri, nonché i temi di questa campagna elettorale, più legati a tematiche nazionali che europee. Siamo sinceri: se ce lo avessero chiesto anche solo qualche mese fa, avremmo scommesso che questa campagna si sarebbe giocata su visioni opposte e concorrenti dell’Unione: europeisti da un lato e sovranisti dall’altro. Così non è stato, visto che anche le forze politiche più euroscettiche, proprio Movimento 5 Stelle e Lega, hanno fortemente attenuato i loro toni. 

Piuttosto, i (pochi) temi europei messi sul tavolo fanno emergere una terza visione, quella che avrà probabilmente conseguenze peggiori per il nostro Paese: gli isolazionisti. Ma cosa determina il Dna del nostro Paese e lo colloca in uno di questi tre gruppi? Almeno due elementi: l’esito di queste elezioni e la nostra reputazione. Dell’esito delle elezioni si parlerà da domani sera e per i prossimi giorni – o anche settimane. Possiamo invece già dire qualcosa della nostra reputazione proprio facendo un bilancio del primo anno del governo Conte. In particolare, cercando di capire quali sono stati gli effetti sul bilancio ma anche sul benessere della società dei tre provvedimenti di politica economica che maggiormente lo hanno caratterizzato: il decreto dignità, quota 100 e il reddito di cittadinanza. Mediaticamente, si tratta di provvedimenti cruciali per la maggioranza, che su questi ha costruito slogan («Abolita la povertà») e iconografie (l’esultanza sul balcone di Palazzo Chigi) molto forti.

La realtà dei fatti racconta tuttavia una storia ben diversa: l’Istat ha da poco comunicato che il tasso di occupazione è sì in crescita negli ultimi mesi, ma ha appena raggiunto il livello che aveva proprio un anno fa, quando il governo Conte entrò in carica. Un anno sostanzialmente sprecato, verrebbe da dire. Reddito di cittadinanza e quota 100 sono entrambe misure molto costose (una decina di miliardi), ma la loro valutazione ha segno diverso. Il primo dovrebbe permettere a circa 1,3 milioni di famiglie italiane un’esistenza più dignitosa. Sempre che i trasferimenti non finiscano nella mani dei soliti evasori e sempre che il reddito non diventi disincentivo a cercare una occupazione stabile. Comunque una buona notizia, guastata dalla fretta di realizzare il tutto proprio in vista delle elezioni europee e dall’emersione di effetti redistributivi particolarmente infelici, che sembrano discriminare in negativo le famiglie più numerose. E quota 100? Permettere ad alcuni lavoratori di anticipare la propria pensione porterà sia a una maggiore spesa pensionistica sia a un minore potere d’acquisto dei pensionati stessi. Con l’aggiunta che il provvedimento, approvato in via temporanea, rischia di creare forti iniquità tra lavoratori stessi. Per non dire dell’effetto più letale: quello di minare in modo strumentale i nostri conti pubblici nel futuro.

Quello lontano ma anche più prossimo, del nostro paese dipende già e sempre di più dalla nostra capacità di essere influenti in ambito europeo, di sviluppare cooperazioni efficaci e di costruire coalizioni strategiche; di essere al centro, insomma, del dibattito che determinerà la trasformazione dell’Europa nei prossimi anni. E per farlo dobbiamo dimostrare la nostra capacità di rispettare già impegni presi; oppure, quando si ritengano questi impegni non sostenibili, sfidare i nostri partner, e magari anche qualche Commissario o burocrate fin troppo zelante, con la giusta dose di provocazione. Il momento della verità sarà probabilmente il prossimo autunno, quando saranno presentati la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza e la Legge di bilancio.

Proporre di sforare il tetto del deficit al 3% per finanziare riduzioni fiscali permanenti (tralasciando i possibili effetti redistributivi) o di aumentare l’Iva per finanziare provvedimenti di spesa dal sapore elettorale significherà solamente isolarsi, costringere l’Unione ad aprire una procedura di infrazione contro il nostro Paese e, cosa più importante, rinunciare per sempre a provare a ridurre il nostro debito pubblico, vero fardello e freno del nostro Paese. Sfidare invece l’Unione stessa – anche sul piano del deficit - con una politica economica caratterizzata da forti investimenti, infrastrutture strategiche e politiche orientate alla crescita, farebbe di noi un Paese leader e di nuovo centrale nel panorama non solo europeo ma anche mondiale. La precedente finanziaria si è rivelata una occasione persa .
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