GIOCHI DI POTERE. La partita è tutta in mano alla Giuria rigorosamente paritetica (quattro femmine e altrettanti maschi guidati dal premio Oscar messicano Alejandro Gonzàlez Iñárritu) un mix decisamente assortito che riunisce personalità molto diverse per provenienza, formazione, rapporti nel cinema. Ma chi sono, e come potrebbero regolarsi i nove che stasera avranno il potere di far decollare o affossare la carriera di tanti registi, compreso Quentin Tarantino che, in gara con C’era una volta a...Hollywood, ha diviso la critica? C’è chi giura che Iñárritu, sensibile al cinema dell’America Latina, non potrà ignorare lo stile estremo del film brasiliano. Ma anche Tarantino è nelle sue corde, e pazienza se il buon Quentin ha disseminato nel film qualche «messicani di merda» di troppo.
Il regista polacco Pawel Pawlikowski, premio Oscar per il rigorosissimo Ida, ha finora lavorato nel proprio Paese e appare dunque lontano dai centri di potere del cinema. Mentre il suo collega francese Robin Campillo, che nel 2017 sfiorò la Palma d’oro per 120 battiti al minuto, potrebbe fare il tifo per i compatrioti in corsa con ben quattro film. Potrebbe dargli man forte l’altro giurato francese, il vignettista Enki Bilan mentre si può considerare franco-orientata anche Maimouna N’Daye, regista del Burkina Faso che si è formata a Parigi.
SPERANZE ITALIANE. Yorgos Lanthimos (La Favorita), greco di origine e londinese di adozione, è stato scoperto proprio a Cannes (nel 2009 il suo Kynodontas vinse al Certain Regard): oggi è una punta di diamante del cinema europeo ma è corteggiato anche da Hollywood. Le speranze italiane si affidano in gran parte ad Alice Rohrwacher, pluripremiata sulla Croisette, adorata dai francesi ma consideratissima anche dalla critica Usa grazie a Lazzaro Felice. Completano la giuria due americane: l’attrice Elle Fanning, che alterna la carriera hollywoodiana (Maleficent) ai film d’autore (Somewhere, The Neon Demon), e la regista Kelly Reichardt, habitué dei festival super-cinefili come Rotterdam e Sundance. Un fatto è certo: i retroscena del verdetto non si sapranno mai, il Festival proibisce ai giurati di rivelarli anche dopo anni.
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