Adriana Cammi, prima donna in Italia comandante della celere: «Non esiste discriminazione, basta credere in se stesse»

Adriana Cammi, 55 anni, dirigente del reparto Mobile della polizia di Stato di Cagliari
di Camilla Mozzetti
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Mercoledì 22 Maggio 2019, 09:01 - Ultimo aggiornamento: 09:07
Dalla sua voce a tratti si percepisce una timidezza che potrebbe confondere ma Adriana Cammi lo spiega con parole semplici quanto obsoleti siano diventati gli stereotipi o i preconcetti che la nostra società ancora si porta dietro. Soprattutto quando si parla di donne e del loro impiego nelle forze dell’ordine. Non è una persona ingenua, al contrario. E comprende bene come il suo ruolo, da sempre prerogativa maschile nell’immaginario collettivo, contribuisca «al superamento di un limite che esisteva in polizia – spiega – per me e per tutte le altre colleghe». Non è solo una poliziotta, la Cammi, è la prima donna in Italia a guidare uno dei 15 reparti della Mobile. Quello che un tempo era chiamato solo “reparto celere”. 

Nella sua Sardegna, a Cagliari, ogni giorno dirige uno dei fronti più “muscolari” della polizia di Stato e lo fa «Con la serenità con cui ho guidato altri uffici». Perché il reparto Mobile, negli anni è molto cambiato ed enormi sono stati i passi fatti in avanti. Da ultimi, le scelte del capo della polizia, Franco Gabrielli, che ha impresso una svolta «rivisitando il reparto – spiega la Cammi – con l’ammodernamento sia sotto il profilo della formazione che del modo di concepire l’ordine pubblico». 


Sarebbe voluta diventare magistrato Adriana, occhi brillanti e un filo di rossetto sulle labbra, dopo la laurea in Giurisprudenza. Poi tentò il concorso in polizia e da allora non se n’è più andata. L’operatività e l’impegno sul campo li ha conosciuti fin dall’inizio. In 28 anni di carriera svolti in Sardegna è passata dal Caip, il Centro addestramento e Istruzione professionale di Abbasanta alla Polfer e poi alla direzione del reparto Volanti, approdando al vertice del gabinetto regionale della Scientifica e guidando gli uffici di polizia giudiziaria della Procura. «Nella mia vita convivono due sensazioni distinte. Da un lato, soprattutto nella mia quotidianità, sento di vivere un’esperienza assolutamente normale, una dirigenza di un ufficio di polizia con le sue peculiarità ma rapportabile ad altre esperienze dirigenziali». Dall’altra la presa di coscienza del “simbolo” che comunque rappresenta. «Quando mi guardo dal di fuori – aggiunge – mi rendo conto di ricoprire un incarico che, fino a qualche anno fa, non avrei mai pensato di potere avere». 

Nella sua vita di poliziotta non ha rinunciato a essere donna e anche madre. Anime diverse – e per alcuni ancora oggi antitetiche – che convivono tuttavia in una sola persona senza turbamenti. «Amo entrambe le figure: il lavoro in polizia, come ogni lavoro impegnativo, richiede presenza e dedizione; così come ne richiedono i figli». Né l’uno né gli altri, però, sono mai entrati in conflitto. «Diciamo che, con un pochino di fatica in più e con qualche aiuto esterno o in ambito familiare, si riesce a far tutto». Basta semplicemente volerlo. «Alle donne che desiderano entrare in polizia consiglio di credere in se stesse e di essere convinte, come lo sono io, che non esistono reali motivi di discriminazione». Il resto «Quando sei una persona seria e ti piace quello che fai – conclude la Cammi – viene da sé».
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