Roma, pali divelti e targhe rotte: l’odissea da Prati al Centro

Roma, pali divelti e targhe rotte: l’odissea da Prati al Centro
di Stefania Piras
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Martedì 21 Maggio 2019, 11:18 - Ultimo aggiornamento: 11:19

La striscia pedonale c’è ma non si vede. Un gioco di prestigio metropolitano? No, è Roma. Ed è facile immaginare cosa significhi per una sedia a rotelle, un genitore che spinge un passeggino, ma per chiunque voglia attraversare la strada.

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Senza segnali stradali la città rimane senza quel minimo di presidio amministrativo che dà il vero segnale che un’amministrazione c’è. E invece tutto prende il sopravvento a Roma: il ramo di un arancio, l’esuberanza longitudinale di una palma o di un oleandro, un’acacia in espansione. Tutto concorre a scalzare cartelli che danno indicazioni fondamentali per viaggiare in sicurezza. Le strisce bianche dissolte sono un problema diffusissimo. E lo leggi negli occhi dei turisti e dei genitori che stringono le mani dei figli quando decidono di fare il grande passo verso l’altra sponda della via. 

O si trovano ad avere a che fare con un tassista che arriva velocissimo e poi inchioda perché sa a memoria che lì c’era una volta l’attraversamento pedonale e ora sembra un acquerello dei secoli passati, oppure c’è il rischio che arrivi un automobilista spericolato e a quel punto la probabilità che si verifichi un incidente è molto alta. E anche quando non si verifichi un sinistro, l’attraversamento è un terno a lotto pericolosissimo per un anziano malfermo o un adolescente che semplicemente ascolta musica alta con gli auricolari. A Roma si vedono centinaia di volte queste scene: pedoni e ciclisti che si avventurano su un attraversamento magari sul Lungotevere che non si vede più, sepolto dentro buche e crepe. L’unico rimedio è improvvisare una transumanza di gruppo per segnalare il transito e costringere l’automobilista a fermarsi. Da via Salaria per arrivare a Prati, da piazza Cavour fino a Porta Maggiore, passando per piazza Vittorio Emanuele, e risalendo via Carlo Alberto, continuando su via Tuscolana per arrivare a un punto di riferimento fondamentale come la stazione ferroviaria in piazza dei Cinquecento. La segnaletica dovrebbe essere chiara e ben visibile. E invece, nulla. 

Stesso discorso per le scritte con lo spray che imbrattano sensi unici e sensi vietati, o i triangoli del dare la precedenza. Spesso questi segnali sono letteralmente invisibili, usati come lavagne alla mercé dei writer che scrivono e rendono l’indicazione nulla. Ancora peggio, sui segnali vengono appiccicati adesivi di ogni tipo: locali, squadre sportive, associazioni. Difficile poi che vengano visti e interpretati correttamente. Ci sono addirittura cartelli che il writer ha usato per provare lo spray nuovo. Si vede bene quando sotto la scritta improvvisata da quello che la sindaca Raggi etichetterebbe come “zozzone incivile”, la vernice nera o rossa cola giù in tanti rivoli. Risultato: sulla piazza o la via rimane un tubo di metallo che regge un pastrocchio, accessorio immancabile di un contesto degradato che alimenta sporcizia e abbandono. E poi, certo, il risultato è che l’indicazione stradale non si legge più. A Prati un pannello che istruisce su come raggiungere San Pietro e il centro versa in queste precise condizioni. C’è anche il caso frequente dei segnali anneriti e bruciati, forse c’è passato vicino un autobus di quelli che prendono fuoco o hanno avuto la sventura di trovarsi accanto a un cassonetto bruciato. 

Chi lo sa. Però intanto rimangono lì, magari piegati e storti, ma resistono nonostante perdano completamente funzionalità. Succede anche ai segnali dei passaggi obbligatori a destra o a sinistra. Fondamentali per liberare un incrocio correttamente. Ce ne sono tantissimi che sono divelti e se sono collegati a un circuito elettronico per l’illuminazione notturna c’è anche il tristissimo spettacolo dei fili che escono e rimangono penzoloni. Reperti fumanti e che restituiscono l’immagine di una città che riporta ferite di guerra. Una guerra contro se stessa. 

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