De Rossi, il papà Alberto l'eroe nel calcio e Daniele l'eroe di tutto un popolo

Alberto e Daniele De Rossi (foto Tedeschi)
di Piero Mei
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Mercoledì 15 Maggio 2019, 09:00
Chissà se la prima volta che varcò il cancello di Trigoria lo accompagnava papà Alberto, “il mio eroe”, “quello che speravo di fare la sua carriera, quindici anni in serie C”. Daniele l’ha fatta migliore: più anni, in serie A e addirittura nella Roma. Doveva essere per sempre, ma così non sarà. Mica è scelta né colpa sua (la scelta gli sarebbe appartenuta, la colpa appartiene ad altri, oltre l’oceano Atlantico, oltre la Manica). Era un “pupo biondo”. Ora che chiuderà quel cancello alle proprie spalle, è un uomo cresciuto. Che amara ironia: dal Parma al Parma. Perché in quel Roma-Parma, di tanto, troppo tempo fa, lui c’era ma non giocava. Giocherà in questo triste saluto, il 26 maggio. Il 26: fu il suo primo numero, glielo assegnò Fabio Capello, uno dei tanti allenatori che nel mondo del calcio l’hanno apprezzato, chi l’ha avuto e chi avrebbe voluto averlo.

SENZA TRONO
Lui, Daniele, lì, a crescere in un cono d’ombra: l’ombra del gigante Francesco Totti. Capitan Futuro, lo chiamavano, come fosse un principe ereditario che il re non se ne andava mai. Neppure lui avrebbe voluto mandarlo via, non era uno di quei rivoluzionari d’ogni stagione, e per ogni stagione, che crescono sui prati di Trigoria, o miglia di chilometri lontani da qui, ma padroni delle sementi. Che poi, giacché non le innaffiano, non crescono. Il 26 di maggio, che brutto numero per Daniele, che brutto ricordo tra i tanti suoi. Rimpianti? Quelli no: e che DDR sarebbe se ne avesse?

ANCHE CT
Forse fin da quella volta che entrò sbarbatello e capelli lunghi, aveva la vena pronta a saltare fuori, sanguigno com’è sempre stato. Di sangue giallorosso, naturalmente. Forse fin da allora quando decideva di parlare non diceva mai banalità, calcistiche o no. Ogni tanto “sbroccava”, in campo. Ma chi non lo fa nel proprio orticello? Una gomitata malandrina lo tenne fuori dai mondiali fino al gran finale, quando segnò il rigore e urlò a Barthez, portiere di Francia, «buttace i guanti». Romanista dentro e romano sempre disse anche al ct Ventura: “Ma che c’entro io? Fai entrare Insigne: dobbiamo vincere, mica pareggia’”. Era già l’allenatore che sarà. Era, è, e sarà sempre DDR. I bambini che chiedevano a Babbo Natale la maglia di Totti e che ora sono padri e speravano tanto che i loro figli chiedessero la maglia di De Rossi, ora sono sperduti: non sanno quale maglia far desiderare ai propri piccoli. La maglia di chi se non ci sono più Francesco né Daniele? La canottiera dei Boston Celtics? Ma siamo seri, oltre che malinconici: Capitan Futuro da Capitan Presente è durato troppo poco nel ruolo. Però è durato tanto nei cuori del popolo giallorosso. I più l’hanno amato, pure se non venerato come Totti; tutti l’hanno stimato. Anche gli avversari, che se non li vedeva “nemici” si sentiva poco “motivato”. E il popolo con lui.

TE LA DO IO L’AMERICA
Quanto ad ironia amara l’ultima è questa: gli americani costringono in esilio DDR e forse proprio in America (LA? New York?). Meglio l’antico gioco di rione, il “gioco dell’uva, ognuno a casa sua”. La casa di De Rossi aveva, ha, avrà i colori giallorossi.
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