Riccardo De Palo
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di Riccardo De Palo

Peter Cameron: io, il giovane Holden e la felicità

Lo scrittore americano Peter Cameron
di Riccardo De Palo
4 Minuti di Lettura
Venerdì 10 Maggio 2019, 21:20
Peter Cameron è uno scrittore americano raffinato e minimalista, che (inconsapevolmente) ha adattato "Il giovane Holden" ai giorni nostri, con "Un giorno questo dolore ti sarà utile", diventato un film di Roberto Faenza. Un autore che ama gli intrecci psicologici di autori come Denton Welch e William Maxwell (porterebbe il suo "The Chateau" su un’isola deserta), il perfezionismo di James Salter, la grandezza di Iris Murdoch. Di recente è venuto in Italia - «un Paese a cui penso con stupore e gratitudine», - per parlare de "Gli inconvenienti della vita", una raccolta di due racconti. «Da voi mi sento un vero scrittore: sono fortunato, ad essere così popolare. Negli Stati Uniti la mia esperienza è molto diversa».

Nei suoi libri, il tema principale è spesso l’incapacità di trovare il proprio posto nella vita, di cogliere il lato surreale della propria esistenza. Come mai?
«Quello che mi piace, della narrativa, è che si possono osservare i personaggi sia dall’interno che dall’esterno contemporaneamente. A me interessano le persone confuse, incasinate, che non riescono a trovare se stesse, e cerco di capire come riescano a far fronte a questa situazione, ad aggirare i vari ostacoli che incontrano nella vita».

Un suo personaggio dice: “se il futuro non ti interessa, allora perché sei vivo?” Qual è la risposta?
«Non è una domanda, ovviamente, è un’affermazione. L’opportunità che ci offre la vita è di lottare per cambiare, migliorare noi stessi e il mondo. Bisogna avere interesse per noi stessi e il mondo che ci circonda».
“Un giorno questo dolore ti sarà utile” è stato paragonato al capolavoro di Salinger.
«Quando ho cominciato a scrivere quel libro ero molto concentrato sulla storia di James e sul mondo che lo circondava e non pensavo a Il giovane Holden. Solo verso la metà della stesura mi sono reso conto che stavo scrivendo la storia di un ragazzo a New York, che incontrava gli stessi problemi e si poneva le stesse domande di Holden. Ho pensato: allora devo smetterla di scrivere, questo libro è già stato scritto. Ma poi mi sono reso conto che tutto - i personaggi, l’epoca, la città - era diverso. Bisogna dimenticarsi dei romanzi del passato, bisogna convincersi di scrivere l’unico libro che esista».

Il giovane protagonista di quel libro odia le convenzioni, i luoghi comuni. Anche lei?
«Certo. Come scrittore sono molto interessato dal linguaggio, forse addirittura un po’ ossessionato dalla lingua, come James, il mio personaggio. La comunicazione è una cosa molto difficile, rischiosa, bisogna usare il linguaggio più chiaro e conciso possibile, per avvicinarci agli altri».

Perché si interessa tanto agli outsider, a quella zona grigia tra successo e insuccesso che rende la vita particolarmente piena di interrogativi e di incertezze?
«Tutti si sentono un po’ outsider, si sentono confusi nei confronti della vita, tutti sono alla ricerca di risposte. I libri che raccontano personaggi appagati, felici, non sono molto interessanti. La felicità è qualcosa che si vorrebbe ottenere, mentre l’infelicità e l’insoddisfazione sono qualcosa che si vorrebbe cambiare, superare, ed è lì che ritroviamo i miei personaggi: sono tutte persone che cercano di andare avanti, di reinventarsi».
Come sta cambiando l’America oggi? Sembra che si stia polarizzando come non mai, pro e contro Trump.
«Sì, è vero, il Paese è diventato molto polarizzato, così come il nostro governo. Coloro che sostengono Trump sono una minoranza, però si fanno sentire, parlano molto, molto forte. Ma Trump si è rivelato un bugiardo, un imbroglione, e queste persone stanno perdendo entusiasmo nei suoi confronti».

Un altro tema ricorrente nei suoi libri è l’omosessualità. Come sta cambiando la percezione della comunità gay in America?
«Ci sono politici che si dicono contrari ai diritti dei gay, ma lo fanno semplicemente per fare appello a una piccolissima minoranza di persone, perché nella cultura popolare americana le cose sono cambiate molto, anche dal punto di vista dell’inclusività. La ver cultura di un Paese è quella popolare, quello che si vede in tv, che si legge nei libri, si sente nelle canzoni. L’omosessualità, così come qualsiasi altra forma di sessualità “alternativa”, fa parte della nostra cultura».

In “Il weekend” emerge un altro suo tema: l’impossibilità di conoscere veramente una persona. Perché è così difficile?
«Siamo dei misteri già per noi stessi e quindi, e quindi come fare a rivelarsi completamente a un’altra persona? è una cosa difficilissima da fare. D’altronde, se ci conoscessimo perfettamente, i rapporti diventerebbero molto noiosi».

In un altro suo libro, “Andorra” torna il tema della fuga. Lei ha mai ceduto all’impulso di fuggire?
«Sì, penso che fuggire dalla propria vita sia una cosa che tutti noi, periodicamente, abbiamo bisogno di fare. Credo che per me, uno dei modi migliori di evadere, di uscire dalla mia ristrettezza mentale, sia leggere libri».

E fuggire fisicamente, geograficamente?
«Devo dire che non l’ho mai fatto, sono una persona soddisfatta di stare dove sta. Non viaggio molto, ma a volte sogno di farlo, come James del romanzo, e allora mi dico: ah, se vivessi in questo posto, come sarebbe diversa la mia vita. Ma poi, alla fine, non parto».

Ci può anticipare il tema del suo prossimo romanzo?
«Scriverò di una coppia americana, eterosessuale, che viaggia verso l’estremo Nord, verso l’Artico, per adottare un bambino».
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