Mario Ajello
Mario Ajello

Il malessere dei romani non accetta passerelle

di Mario Ajello
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Giovedì 9 Maggio 2019, 00:00
L’etica della convinzione che si fa beffa quasi provocatoriamente dell’etica della responsabilità. Ossia del giusto equilibrio tra che cosa si vuole fare e che cosa si può fare in un dato contesto. Questo è il senso della mossa di Virginia Raggi, che a Casal Bruciato ha rivendicato in maniera plateale l’assegnazione della casa alla famiglia rom, in mezzo alle proteste. 

Non è tollerabile impedire a un’autorità pubblica, qual è un sindaco, di far rispettare una norma legittima, qual è quella dell’assegnazione delle case ai rom o a qualcun altro. E chi si oppone a questo è condannabile, specie se accompagna i suoi no con insulti e volgarità. Il punto, semmai, è che la scelta della Raggi si è rivelata per quello che è: una forzatura mediatica che ha scatenato addirittura la bocciatura da parte di Di Maio. 
Del resto la stessa sindaca, quando si trovò nella stessa situazione un mese fa a Torre Maura, evitò la forzatura del blitz e fece marcia indietro. Mentre adesso ha insistito nella sua mossa, incappando nella nemesi: quella della populista contestata, oltre che dagli abitanti del quartiere, dai populisti targati CasaPound che hanno occupato prima di lei e contro di lei la piazza in cui si aspettava gli applausi.

La presunzione di stare nel giusto a dispetto di tutto, ma un sindaco non è nel giusto quando non sa cogliere gli umori della popolazione e attizza le rabbie invece di risolverle, ha fornito materiale incendiario in una situazione già molto pericolosa. Da una posizione concettuale mal impostata - l’accoglienza è un dogma e come tale va applicato anche in mezzo a gruppi di cittadini che protestano e a CasaPound che soffia sul fuoco - non poteva che derivare il brutto spettacolo di ieri a Casal Bruciato. In cui una questione serissima, quella della convivenza tra popoli e persone nello stesso habitat, è stata ridotta da una parte a teatrino e dall’altra parte a monumento dell’irresponsabilità e anche dell’autogol. Perché la trovata della Raggi è diventata un assist involontario a Salvini (che sul tema della sicurezza e delle periferie fonda la sua tentata conquista di Roma) nel momento in cui lui era stato battuto e si stava leccando le ferite del caso Siri. 

L’innesto di isolate famiglie rom nel normale contesto abitativo romano poteva anche essere un’operazione sensata, se condotta senza strappi e inserita in una condivisione di pratiche e di obiettivi tra il Campidoglio e il Viminale. E invece l’operazione Casal Bruciato s’è trasformata in un test non voluto, o in una sorta di termometro sociale, del malessere esistente in quel quartiere e in altre zone popolari che avevano votato in massa i 5 stelle e ora si sentono abbandonate. 
La verità è che da parte di tutti (M5S, Lega, CasaPound) l’approccio ai disagi delle periferie è quello dell’uso propagandistico delle medesime e della rincorsa del successo di facciata. Ma Roma non ha bisogno di questo e non si può permettere che la capitale venga sequestrata da opposte tifoserie e stritolata da vicendevoli machiavellismi de’ noantri. 

La Raggi, pur nello svolgimento legittimo della sua funzione, sembra arrivata a Casal Bruciato scendendo da una torre d’avorio e recitando un ruolo incongruo in un gioco delle parti che non ha nulla di dialettico con gli abitanti di quell’area. Si è fatta attrice di una messa in scena e non portatrice di una ricetta possibile. E’ come se al popolo che chiede pane, che in questo caso sarebbe la sicurezza, l’inquilina del palazzo del Campidoglio avesse regalato le brioches dei propri valori inflessibili. Si può anche essere a favore della fratellanza più totale, anzi è giusto esserlo in linea di principio, ma se il contesto sociale che mi ha eletto chiede altro, non posso non tenerne conto. E sparare spot. 

Finché questo approccio lo adotta il politico nazionale, la gente magari alza le spalle non sentendosi toccata direttamente. Se invece vi ricorre l’amministratore locale, la figura di maggiore vicinanza ai bisogni quotidiani, le persone non lo accettano. Specialmente quando l’approccio leggerista o donchisciottesco, come in questo caso, invece di risolverle aggrava le difficoltà e ingigantisce le paure. Il grande storico Johan Huizinga, che nel 1935 era stato capace di calarsi magistralmente «Nelle ombre di domani» (titolo di un suo libro), scriveva che «nessuno dovrebbe auspicare l’avvento di un’autorità politica che si senta sottratta al giudizio dei propri cittadini. Che vanno ascoltati, sennò non c’è virtù né democrazia vera. Solo impalcature per demoni». Quelli che stanno imperversando in questa città, ma Roma merita ben altro. 
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