La notizia mostra la difficoltà che Facebook incontra nel controllare i contenuti che circolano sulla sua piattaforma. Per individuare i video proibiti il social network utilizza uno speciale processo chiamato “hashing”, che consente (o dovrebbe consentire) di trovare i video segnalati come inappropriati anche quando sono stati rimontati o manipolati in modo da ingannare i software di ricerca. Ma il caso dei video di Christchurch solleva molti dubbi sulla reale efficacia di queste tecnologie. «Se non sono riusciti a trovare questi video che io ho trovato - ha osservato Feinberg - perché dovremmo credere che riusciranno a trovare le fake news e i deepfake?» I video “deepfake” sono quelli in cui si sostituiscono i volti in modo così credibile da far sembrare vere immagini costruite al computer, una tecnologia molto temuta che negli anni a venire potrebbe spingere la diffusione di falsi con risultati allarmanti.
Nella foto compare Philip Arps, l'uomo che nei giorni scorsi in tribunale si è dichiarato colpevole di aver condiviso sul web il video della strage di Christchurch, nonostante fosse stato espressamente vietato dalla polizia neozelandesi. Dopo l'attentato, in Nuova Zelanda è stato dichiarato un reato non solo trasmettere quel filmato, ma anche possederlo nel proprio telefonino o anche solo guardarlo.
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