Riccardo De Palo
Lampi
di Riccardo De Palo

Elena Ferrante, il fascino discreto dell'opinionista (senza opinioni)

La serie tv tratta da L'amica geniale
di Riccardo De Palo
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Giovedì 2 Maggio 2019, 14:34 - Ultimo aggiornamento: 15:07
Prendi uno scrittore (o scrittrice), fanne un opinionista. Quando il Guardian ha contattato Elena Ferrante, all'inizio dell'anno scorso, per offrirle una rubrica settimanale, la scrittrice fantasma si è sentita «lusingata e insieme spaventata». L'autrice de L'amica geniale, inserita da Time nella lista delle cento persone più influenti del mondo, letta avidamente da vip come Hillary Clinton, Jane Campion, Nicole Kidman, apprezzata da scrittori del livello di Elizabeth Strout e Jonathan Franzen, oltre che da milioni di lettori comuni, non aveva «mai fatto un'esperienza del genere» e quindi temeva di «non esserne capace». Alla fine, ha accettato di scrivere per un anno, da gennaio 2018 allo stesso mese di quest'anno, sollecitata ogni settimana a occuparsi di un nuovo tema, e di attenersi ai limiti dello spazio assegnato. A tradurre i testi ci avrebbe pensato la stessa Ann Goldstein, che ha fatto la sua fortuna sul mercato angloamericano.

Ora, terminata la serie pattuita, gli articoli apparsi sul quotidiano britannico sono stati raccolti in un volume, L'invenzione occasionale, illustrato da Andrea Ucini, che uscirà l'8 maggio per il consueto editore, e/o.

Sono molti gli scrittori che si sono prestati al giornalismo, con esiti a volte altissimi. Il funambolesco Giorgio Manganelli, per esempio, ha deliziato i lettori di questo giornale, Il Messaggero, con i suoi commenti e reportage surreali (un assaggio si trova su Improvvisi per macchina da scrivere); Carlo Fruttero e Franco Lucentini scrissero a lungo su La Stampa, e il risultato dei loro corrosivi interventi è raccolto in vari libri, a partire da La prevalenza del cretino. Nel caso di Elena Ferrante, i risultati sono fatti di luci e ombre. Il problema è anche il format: chiedere a un autore importante un articolo su un tema generico espone a qualche rischio, come la mancanza di urgenza interiore (di cui abbonda invece l'opera della Ferrante); oppure la caduta nel luogo comune o, peggio, nella banalità.
L'articolo del 12 maggio, per esempio, verte proprio su La scrittura che urge. E lei attacca così: «Chi sente il bisogno di scrivere deve assolutamente scrivere». Nel capitolo intitolato a Cieli neri (dopo avere raccontato l'attesa fremente della pioggia da adolescente e la successiva ossessione dei cambiamenti climatici): «È sparito il godimento a cuor leggero delle stagioni». Il 24 novembre tocca alla Gelosia: «Sono soprattutto i gelosi di buona cultura che la nascondono con cura». Su Amiche e conoscenti: «Un'amica è rara quanto un vero amore».

Non che manchino lampi di genio, piccole catarsi, improvvisi squarci di nubi. Ma è chiaro che il genio di Elena Ferrante, rinchiuso in una simile cornice, fatica a liberarsi, a esprimersi. I fan dei suoi libri, gli amanti dell'epopea di Lila e Lenù, troveranno la voce di un'autrice amica, vicina, che confessa le proprie piccole debolezze, le proprie passioni (magari confermando o confutando le voci che vorrebbero identificarla nella traduttrice Anita Raja, o in suo marito, lo scrittore Domenico Starnone).
Elena Ferrante dorme poco (scopriamo nell'articolo del 26 maggio) e i libri, invece che stimolarle il sonno, le risvegliano la fantasia, la voglia di lavorare: «La lettura mi causava uno stato di sovreccitazione», spiega, così che dopo le 8 di sera si proibisce di aprire un libro. Spesso l'autrice si reca a Napoli, ad ammirare, tra i dipinti del Pio Monte della Misericordia, non il celebre Caravaggio che lì viene ammirato da legioni di turisti, ma una figurina di suora a mani giunti con l'espressione estatica, Nostra Signora de la Soledad, di autore ignoto. Ed è proprio questo ignoto ad attirare la scrittrice dall'identità sconosciuta: «Posso dedicarmi al risultato nudo e crudo di un gesto creativo».

Il rapporto con la maternità: «Sono stata un'ottima madre, una pessima madre. La gravidanza cambia tutto, il corpo, i sentimenti, l'ordine gerarchico delle nostre vite». Con la religione Elena Ferrante ha avuto un rapporto molto profondo, e a volte spaventoso, come quando lesse a sedici anni «tutti i Vangeli l'uno dietro l'altro» e l'intera vicenda di Gesù le sembrò «terribile». Il 23 giugno, esprime la mancanza di una vita politicamente attiva, unita all'indifferenza per l'ascesa del Movimento Cinquestelle, e un sincero timore per «ciò che rappresenta la Lega». L'autrice arriva anche a indicare il suo tipo d'uomo, ossuto, il viso lungo dai tratti non stucchevolmente armonici: sì, è proprio Daniel Day-Lewis. Il regista preferito? Andrej Tarkovskij, in particolare per Solaris: «Non il suo più bel film ma quello che mi ha più suggestionata».

Spesso la Ferrante insiste, giustamente, sul persistente gap di genere: «Gli uomini imparano dalle donne? Spesso. Lo ammettono pubblicamente? Ancora oggi di rado». L'autrice de L'amore molesto si chiede cosa cambierebbe nei grandi romanzi se il protagonista fosse una donna, dal Bartleby di Melville allo Zeno di Italo Svevo. Nel caso di Wakefield, il personaggio di Nathaniel Hawthorne che lascia la moglie improvvisamente per stabilirsi, per vent'anni, nella casa di fronte, sarebbe più problematico: forse un personaggio femminile accentuerebbe la contraddizione «di quel suo essere assente insieme», «il bisogno dell'altro e la necessità di liberarsene».
In Morire giovani si avverte, finalmente, l'urgenza di scrivere, risalendo il filo della scomparsa a soli 38 anni di una persona a cui la scrittrice teneva moltissimo, e che era più grande di lei: «Oggi penso alla mia amica come a una persona miracolosamente compiuta e la sua compiutezza distante mi piace, mi commuove». In fondo, come scrive il 5 gennaio ne Il racconto insegna, «ogni opera di qualche valore è anche trasmissione di conoscenza di prima mano». Roland Barthes definiva così il concetto di sapientia, quanto mai introvabile: «Nessun potere, un po' di sapere, un po' di saggezza, e quanto più sapore possibile».
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