Paolo Balduzzi
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Economia e realtà/ Le cicale e l’illusione dell’estate che non c’è

di Paolo Balduzzi
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Mercoledì 1 Maggio 2019, 01:10
C’è chi sostiene che i numeri non mentano, che siano oggettivi. Eppure, gli economisti per primi sanno che dietro a ogni misurazione ci sono tante ipotesi e tante approssimazioni. Per questo, all’occhio dell’economista, non fa davvero una grande differenza se le stime di crescita dell’economia siano passate da uno 0,2 negativo a uno 0,2 positivo. Il più economista tra i Ministri, l’economista Tria, del resto lo ha detto fin da subito: quella che in molti si sono ostinati a chiamare recessione (più o meno tecnica, se mai ciò possa avere un significato economico) per lui era stagnazione. Coerenza vuole che anche questo 0,2 positivo sia chiamato allo stesso modo: stagnazione. In altri termini, l’economia italiana non cresce. Può calare di poco o crescere di poco, ma la tendenza è inequivocabile. E deprimente, quando confrontata con altri Paesi europei.
Esemplare è il caso spagnolo, un Paese che ha tassi di disoccupazione più elevati del nostro, forti tensioni autonomiste al suo interno, e che ha sperimentato ben tre elezioni in cinque anni, eppure segna una crescita che fa impallidire gli altri Paesi, Italia e Germania tra tutti. E allora come spiegare le esultanze di certi politici? Naturalmente, in due modi. Il politico deve rassicurare i suoi cittadini: le cose vanno sempre bene, potrebbero andare meglio ma intanto si esce dalla recessione.
Il governo opera bene e tutto andrà magicamente meglio nei prossimi mesi. La seconda spiegazione è invece meno nobile: i politici pensano solo al proprio elettorato e lo convincono con questa propaganda di vivere nel migliore dei mondi possibili. Nemmeno il Pangloss di Voltaire avrebbe però avuto la faccia tosta di cantare vittoria per questi risultati esigui. Risultati che non mettono in riparo da nulla. Le stime di pochi mesi fa erano di una crescita ben superiore, i sentieri di diminuzione di deficit e debito restano a rischio, così come resta il rischio di procure di infrazione. E le cicale italiane cantano, al sole della primavera italiana, quando invece le formiche in Europa lavorano sodo. Basta un’inversione di segno e subito si rilanciano i progetti insostenibili di reddito di cittadinanza e pensioni (quota 100). Come se questi fossero la panacea dei mali italiani. Certo, al reddito di cittadinanza non abbiamo mai dato giudizi negativi: la misura ci vuole, era attesa e si spera possa migliorare la condizione di povertà di milioni di persone e delle loro famiglie. Ma i dati al momento ci dicono che la realtà è ben diversa dalle aspettative. Resta invece pessimo il giudizio su quota 100: una misura che impoverisce i lavoratori, il Paese in generale e in particolare le generazioni più giovani. 
Ci sono motivi di ottimismo? Certo che ci sono: il Paese, lo abbiamo sempre scritto, è in fin dei conti sano. Il risparmio privato resta uno dei punti di forza della realtà italiana, lo certifica anche l’ultimo outlook di Standard and Poor’s; l’occupazione non decolla ma resta su valori simili a quelli di altri anni. Ciò che manca è la volontà, o forse dovremmo dire la capacità, della classe politica di essere responsabile e lungimirante, di guardare al benessere non solo degli elettori presenti ma anche dei cittadini futuri, di andare oltre la scadenza elettorale più prossima per concentrarsi pienamente sull’orizzonte quinquennale della legislatura.
In altre parole, manca la capacità di investire e di adottare riforme strutturali, vero motore di una crescita stabile duratura. Che il governo utilizzi quindi questo mutato scenario macroeconomico in modo tale da rilanciare il Paese e non mangiandosi invece gli ultimi rimasugli di speranza che ad esso rimangono. 
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