«Nel settembre 2015 - racconta Agostino Riccardo - con l'operazione Don't Touch vennero arrestati i Travali e Costantino Di Silvio detto Cha-Cha. Io mi sono ritrovato da solo e fui chiamato da Armando Di Silvio tramite il figlio Gianluca. Ci incontrammo davanti alla sua abitazione. I figli Samuele e Gianluca erano liberi mentre Pupetto era ancora in carcere. Armando, alla presenza dei figli, mi disse che avevano saputo che ero molto bravo a fare estorsioni e che avevo un'amicizia storica con i figli, quindi gli avrebbe fatto piacere se mi fossi messo con loro in quanto gli ricordavo la sua grinta di vent'anni fa».
Lallà propose ad Agostino Riccardo di entrare nel clan e lui capì subito che avrebbe avuto una posizione importante all'interno dell'organizzazione, pur non essendo parte della famiglia rom. «Mi spiegò subito - racconta il pentito - che io avrei dovuto occuparmi delle estorsioni e che avremmo diviso il ricavato dell'azione in parti uguali, la stecca. Armando doveva ovviamente essere informato di ogni azione da compiere e prendeva la stecca anche se non presente alla estorsione. Era al vertice di tutti e doveva per forza essere informato di ogni azione criminale, io riferivo a lui e non potevo agire se non ricevevo il suo consenso».
IL RITO
L'ingresso nel clan è stato accompagnato da un gesto fortemente simbolico. «Armando - racconta Agostino Riccardo - ha dei tatuaggi sul volto: tre puntini che sono collocati uno tra i due occhi, uno sull'orecchio e uno sulla bocca. Il significato è: non vedo, non sento, non parlo.
Per consacrare la nostra appartenenza al sodalizio io, Gianluca, Samuele e Pupetto abbiamo deciso di farci dei tatuaggi negli stessi posti. Era un segno di riconoscimento tra noi più stretti».
Il pentito spiega anche la gerarchia del clan: «Sotto Armando c'è Pasquale Di Silvio» che, nonostante sia detenuto dal 2010, riceve una parte dei proventi delle attività illecite. «Sotto Pasquale, almeno per le estorsioni, ci sono io e poi gli altri figli di Armando, ovvero Samuele, Gianluca e Pupetto. Per programmare le attività estorsive la mia parola prevaleva su quella degli altri figli, mentre se dovevamo decidere altre azioni, spedizioni punitive o altro, prevaleva la parola dei figli sulla mia».
Si facevano riunioni anche con altri membri del clan, come Renato Pugliese (oggi anche lui pentito), Federico Arcieri e Sabina, la moglie di Armando. «Lei partecipa a tutte le riunioni ed è informata di tutti gli affari, la droga che gestisce personalmente, la politica e le estorsioni». «Federico Arcieri - continua il pentito - è entrato solo nel 2016 dopo aver sposato Sara Genoveffa, ma già prima dava una mano a Gianluca nella vendita della droga».
Ognuno aveva un ruolo e un peso diverso nel clan. Una macchina quasi perfetta, di cui ormai resta davvero ben poco.
Marco Cusumano
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