Armando Di Silvio: «Io ho fame e mi voglio pià Latina in mano». I tatuaggi per entrare nel clan

Armando Di Silvio: «Io ho fame e mi voglio pià Latina in mano». I tatuaggi per entrare nel clan
di Marco Cusumano
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Martedì 30 Aprile 2019, 09:41 - Ultimo aggiornamento: 27 Aprile, 20:05
«Io ho fame e mi voglio pià Latina in mano». A parlare è Armando Di Silvio, il capo indiscusso del clan. Siamo nel 2015, dopo l'operazione Don't Touch che portò in carcere molti nomi importanti della criminalità organizzata. Armando Di Silvio, detto Lallà, incontra Agostino Riccardo e gli propone di entrare nel clan. E' lo stesso Riccardo, oggi collaboratore di giustizia, a raccontarlo ai magistrati durante uno dei numerosi interrogatori, esattamente il 10 luglio 2018.

«Nel settembre 2015 - racconta Agostino Riccardo - con l'operazione Don't Touch vennero arrestati i Travali e Costantino Di Silvio detto Cha-Cha. Io mi sono ritrovato da solo e fui chiamato da Armando Di Silvio tramite il figlio Gianluca. Ci incontrammo davanti alla sua abitazione. I figli Samuele e Gianluca erano liberi mentre Pupetto era ancora in carcere. Armando, alla presenza dei figli, mi disse che avevano saputo che ero molto bravo a fare estorsioni e che avevo un'amicizia storica con i figli, quindi gli avrebbe fatto piacere se mi fossi messo con loro in quanto gli ricordavo la sua grinta di vent'anni fa».

Lallà propose ad Agostino Riccardo di entrare nel clan e lui capì subito che avrebbe avuto una posizione importante all'interno dell'organizzazione, pur non essendo parte della famiglia rom. «Mi spiegò subito - racconta il pentito - che io avrei dovuto occuparmi delle estorsioni e che avremmo diviso il ricavato dell'azione in parti uguali, la stecca. Armando doveva ovviamente essere informato di ogni azione da compiere e prendeva la stecca anche se non presente alla estorsione. Era al vertice di tutti e doveva per forza essere informato di ogni azione criminale, io riferivo a lui e non potevo agire se non ricevevo il suo consenso».

IL RITO
L'ingresso nel clan è stato accompagnato da un gesto fortemente simbolico. «Armando - racconta Agostino Riccardo - ha dei tatuaggi sul volto: tre puntini che sono collocati uno tra i due occhi, uno sull'orecchio e uno sulla bocca. Il significato è: non vedo, non sento, non parlo. 

Per consacrare la nostra appartenenza al sodalizio io, Gianluca, Samuele e Pupetto abbiamo deciso di farci dei tatuaggi negli stessi posti. Era un segno di riconoscimento tra noi più stretti».
Il pentito spiega anche la gerarchia del clan: «Sotto Armando c'è Pasquale Di Silvio» che, nonostante sia detenuto dal 2010, riceve una parte dei proventi delle attività illecite. «Sotto Pasquale, almeno per le estorsioni, ci sono io e poi gli altri figli di Armando, ovvero Samuele, Gianluca e Pupetto. Per programmare le attività estorsive la mia parola prevaleva su quella degli altri figli, mentre se dovevamo decidere altre azioni, spedizioni punitive o altro, prevaleva la parola dei figli sulla mia».

Si facevano riunioni anche con altri membri del clan, come Renato Pugliese (oggi anche lui pentito), Federico Arcieri e Sabina, la moglie di Armando. «Lei partecipa a tutte le riunioni ed è informata di tutti gli affari, la droga che gestisce personalmente, la politica e le estorsioni». «Federico Arcieri - continua il pentito - è entrato solo nel 2016 dopo aver sposato Sara Genoveffa, ma già prima dava una mano a Gianluca nella vendita della droga».
Ognuno aveva un ruolo e un peso diverso nel clan. Una macchina quasi perfetta, di cui ormai resta davvero ben poco.

Marco Cusumano
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