Le intercettazioni dei Di Silvio: «Coletta non è un sindaco, è un poliziotto. Ci distrugge»

Le intercettazioni dei Di Silvio: «Coletta non è un sindaco, è un poliziotto. Ci distrugge»
di Marco Cusumano
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Lunedì 29 Aprile 2019, 09:35 - Ultimo aggiornamento: 27 Aprile, 20:03
Il clan Di Silvio non ha preso bene l’elezione a sindaco di Damiano Coletta. Dalle intercettazioni dell’inchiesta “Alba Pontina” emerge una forte preoccupazione, in particolare di Gianluca Di Silvio, uno dei vertici dell’organizzazione.

Siamo nel novembre 2016, Coletta è stato eletto cinque mesi prima con numeri schiaccianti. Gianluca Di Silvio parla con una persona a lui vicina, tale Fabio (all’epoca in corso di identificazione), all’interno di una Lancia Y in sosta.

Dopo aver parlato di altri argomenti, i due commentano l’esito delle ultime elezioni e la vittoria di Coletta. «Porco giuda - dice Gianluca Di Silvio - non è un sindaco, è un poliziotto oh, dategli il distintivo».

Fabio risponde: «Mamma davvero... E io che l’ho votato. Mi padre ha detto “votalo votalo”, ma chi lo sapeva che andava a finì così però... Perché mi padre ha detto è impiccioso più Calandrini, ha detto provamo questo che è uno nuovo, ma mai a sapè sta fine...».

“Fabio” continua a commentare: «Io all’inizio ho votato Casapound, poi al ballottaggio so andato a votà sto Coletta, non lo avessi mai fatto porco due!».

Anche Gianluca Di Silvio è preoccupatissimo: «E’ passato Ce distrugge a tutti!».
Fabio: «E’ passato pure bene, è passato proprio con l’appoggio di quasi tutta la città, non è che è passato, dici, metà e metà, se l’è cavata, è passato proprio pulito come la Raggi a Roma, è passato proprio con il consenso di tutti».

Il grande successo elettorale di Coletta spaventa il clan, come si evince chiaramente dalle parole di Gianluca Di Silvio il quale si stupisce del fatto che il suo interlocutore, Fabio, abbia votato il neosindaco, per poi pentirsene. 

Di Silvio, durante la conversazione, racconta di essere stato pagato per acclamare un altro candidato in un comizio imprecisato: «Mo te dico n’altra cosa che tu non sai, c’hai presente quando loro fanno i comizi e ce sta quello che tifa per loro, eh, quello che porta la bandiera e trenta persone (...). A me m’hanno proprio pagato pe’ fallo, proprio mo nel tempo delle elezioni, lo sai?».

La conversazione del 2016 prosegue con il racconto, piuttosto colorito, del comizio di Renzi a Latina. Anche lui non è certo amato dai due, come si evince chiaramente dalla conversazione intercettata dagli investigatori. «Io pure stavo là - racconta “Fabio” - me so ritrovato in mezzo a quartieri che manco ce entravo io, solo per insultarlo (...). Passo dietro du camionette de celerini (...), uno me prende sotto braccetto, poi vabbè so arrivati altri sette, otto... Ho detto è meglio che me ne vado, ho visto i gradi, poi li riconosco ormai (...). Quello m’ha visto incappucciato, ha detto questo mo chissà che cazzo deve fa, invece poi me so tolto il cappuccio, ho detto eh, volevo solo da’ no scatarro in faccia, ho detto... senti è possibile?».
Gianluca Di Silvio: «Da schiattallo proprio».

Fabio prosegue: «Non gli ho detto niente, sempre meglio rimanè nell’anonimato qua, quel celerino magari te lo ritrovi pure in pattuglia normale (...). Non era un appuntato, era quello che dirigeva la celere quel giorno. Noi stavamo a insultà sotto i portici del Supercinema, è uscita quella della Digos, ha fatto toglie il megafono (...), ho detto è meglio che me ne vado perché già mi padre m’ha fatto dumila intrippi, non te andà a piglià denunce eh...».

Conversazioni che sembrano la sceneggiatura di una fiction e invece rappresentano la realtà di un clan che ha dominato per anni sul territorio, contando su appoggi eccellenti.

I 500 VOTI DEI TIFOSI DEL LATINA CALCIO
​Il 16 luglio 2018 nell’interrogatorio del pentito Riccardo Agostino(nella foto) si fanno numerosi riferimenti al sostegno del clan Di Silvio a diversi politici locali. Dichiarazioni e ipotesi che sono al vaglio degli investigatori. In riferimento alla campagna elettorale di Terracina, Agostino Riccardo sostiene che la sorella di Angelo Travali (detto Palletta) «tartassava Gina Cetrone dicendole che il marito, Francesco Viola, anche se detenuto, avrebbe curato la sua campagna elettorale».
Ma secondo il pentito «Cetrone aveva perso la fiducia nei confronti di Francesco Viola perché in occasione delle elezioni regionali del 2013 quest’ultimo le promise 500 voti dei tifosi della curva del Latina Calcio,ma poi i voti andarono a (omissis). Essendo successivamente passato io con il clan Di Silvio di Armando, presi in mano io la campagna elettorale».
I verbali dell’interrogatorio sono pieni di “omissis” per tutelare lo sviluppo delle indagini. 

I LEGAMI CON I CASAMONICA
Dalle dichiarazioni del pentito Riccardo Agostino emergono i legami tra la famiglia dei Di Silvio e i Casamonica di Roma: «GianfrancoMastracci reclutava giovani per mostrargli comemaneggiare le armi, è stato anche sorvegliato speciale. Quando è stato latitante è stato appoggiato presso la famiglia Casamonica di Roma tramite i fratelli Travali. Infatti Velia Casamonica, nonna dei Travali, è la sorella di Vittorio Casamonica, quello famoso dei funerali con i cavalli e l’elicottero. Angelo Travali (...) voleva andare al funerale di Vittorio Casamonica, suo zio carnale. Nell’occasione si sentiva telefonicamente con la moglie per sapere se poteva andare al funerale di questo boss dei boss su Roma». Riccardo Agostino ha fornito agli investigatori anche dei dettagli sulle armi che erano disponibili per il clan.

Marco Cusumano
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