Siri, Conte: lasci o salta tutto. M5S accelera sulla giustizia. Altolà Lega: niente accordo

Siri, Conte: lasci o salta tutto. M5S accelera sulla giustizia. Altolà Lega: niente accordo
di Simone Canettieri
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Domenica 28 Aprile 2019, 00:30
«O Siri se ne va o cade il governo». I falchi di Palazzo Chigi, i consiglieri politici più stretti del premier Giuseppe Conte, raccontano così la determinazione dell’«avvocato del popolo». A costo di aprire una crisi, il premier è intenzionato a spingere il sottosegretario alle Infrastrutture a fare un passo indietro. «Con le buone o le cattive. Ne va anche di un altro aspetto che in molti stanno sottovalutando in queste ore: la nostra reputazione all’estero. Che figura facciamo - sta ragionando da giorni Conte - con gli investitori quando leggono di un membro del governo indagato per corruzione?». 

Da domani ogni giorno sarà quello giusto per il chiarimento definitivo. L’appuntamento «balla» e si incrocia con l’interrogatorio richiesto dal responsabile economico del Carroccio e previsto in settimana. Inoltre, da Palazzo Chigi non vogliono fornire date per non alimentare ancora di più le tensioni con la Lega. 

L’incontro potrebbe essere a tre: anche Matteo Salvini è pronto a partecipare di persona a questo snodo fondamentale per l’esecutivo. Domani potrebbe esserci in serata «una finestra». Nel pomeriggio, infatti, il ministro dell’Interno è atteso nella Capitale, all’aeroporto di Pratica di mare, per gestire un corridoio umanitario. Lo scenario di una crisi, davanti alle resistenze della Lega al passo indietro di Siri, viene evocato con la possibilità di una prova muscolare da parte del presidente del Consiglio. E cioè la revoca del sottosegretario per decreto con tanto di controfirma da parte del Colle. Si cercano in queste ore sponde e canali con il Quirinale per rafforzare la tesi di «Siri non può rimanere un minuto in più e non è solo il capo del governo a dirlo». 

Tuttavia non si registrano, per questa fattispecie, input da parte del Capo dello Stato. La situazione è fluida. Ma dallo staff del presidente del Consiglio danno la pratica per «chiusa». Ne fanno una questione di «autorevolezza» e «responsabilità» politica e istituzionale del premier. 

Matteo Salvini da ormai 48 ore ha abbassato i toni, al contrario dell’altro vicepremier, Di Maio. Ieri il leader della Lega, davanti alla solita domanda che tutti i cronisti gli propongono, ha risposto così: «Siri? Conte sta decidendo. Io parlo di vita vera e non di altro». Questo fa pensare dunque a un’exit strategy senza traumi pubblici. «Anche se tutto ruota intorno a un’intercettazione che finora non esiste e che nessuno ha trascritto», dice un ministro della Lega, convinto che comunque la vicenda si porterà dietro una lunga serie di ulteriori strascichi all’interno dell’esecutivo «gialloverde». 

I RAPPORTI
In questo momento storico, a meno di un mese dalle Europee, in Italia ci sono due governi. Due esecutivi che non si parlano. E dunque non comunicano. Ma che, anzi, appena possono si azzannano o si mettono i bastoni tra le ruote. «Sono saltate ormai tutte le riunioni politiche che facevamo fino a poco tempo fa - continua ancora un esponente di governo in quota Carroccio - i rapporti tra noi e loro non sono mai arrivati a questi minimi termini». Figurarsi quelli personali tra Di Maio e Salvini. In questo scenario dunque si assiste a un continuo rilancio identitario. 

LA FUGA IN AVANTI
Si spiega anche così l’annuncio del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede: «Anche in assenza di ulteriori incontri, al prossimo consiglio dei ministri utile, potremo approvare la riforma per dimezzare i tempi del processo», provvedimento che, secondo il Guardasigilli, «non è più rimandabile». Una fuga in avanti, per la Lega, che ha gestito finora il tavolo con il ministro Giulia Bongiorno. Il confronto si è interrotto nell’ultimo periodo, contestualmente, al caso Siri che appunto ha fatto precipitare i rapporti all’interno della coalizione. E dunque i gialli non parlano con i verdi, e viceversa. E dunque, come spiegano dal Carroccio, l’annuncio di Bonafede «ammesso che vada il provvedimento in consiglio dei ministri porterà con sé una formula ormai nota: salvo intese».

Ovvero, passate le Europee, magari ci sarà la possibilità di «rimetterci le mani». Ma adesso lo scoglio è un altro, come si sa. E il ritorno dalla Cina di Conte è più atteso che mai. La sensazione diffusa porta a un beau geste di Siri per evitare ulteriori scossoni. «Conosco bene Armando - dice il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon - e sono convinto che non ci sono situazioni particolari. Dopodiché, il presidente Conte lo ha già convocato e decideranno loro quello che sarà meglio fare nei pieni poteri di entrambi». Ma nemmeno le dimissioni di «mister Flat Tax» potrebbero bastare. Il M5S è pronto dal giorno dopo a chiedere spiegazioni sui rapporti tra i vertici della Lega e gli Arata, padre e figlio. «Serve un’operazione verità e trasparenza, ne va delle nostre istituzioni», attaccano i grillini. Risposta di Riccardo Molinari, capogruppo della Lega, alla Camera: «Il premier intanto dovrà confrontarsi con il partito che ha scelto Siri».
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