Romano Prodi
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Fronte pro Haftar/ La sterzata di Trump isola l’Italia su Tripoli

di Romano Prodi
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Domenica 28 Aprile 2019, 00:00
È assai probabile che, se mantenuto nel tempo, l’inedito appoggio di Donald Trump nei confronti del generale Haftar costituisca un cambiamento radicale riguardo all’esito dell’eterno conflitto libico. Gli Stati Uniti non sono più un arbitro garante degli equilibri stabiliti dall’Onu ma, con il loro appoggio, fanno pendere la bilancia in favore della coalizione dei Paesi che sostengono il generale Haftar. Una coalizione che comprende l’Egitto, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi e che, per diversi motivi, non sembra trovare ostilità da parte di Francia, Russia e Israele.

Lo sfinimento dopo otto anni di guerra e il vuoto prodotto dalla mancanza di una politica europea hanno definitivamente posto fine alla fragile politica dell’equilibrio cooperativo di Obama, sostituito da una scelta americana che vede nell’Arabia Saudita il punto di riferimento e nell’Iran e nei fratelli mussulmani i nemici contro i quali combattere con ogni mezzo.

Anche se nulla è ancora definitivo, ma con i soli elementi che possediamo, si può oggi ritenere che il progetto vincente sia quello egiziano, che vede nelle milizie di Haftar lo strumento per volgere a proprio vantaggio gli stretti rapporti e l’intreccio degli interessi tradizionalmente esistenti fra Egitto e Libia.

Non possiamo infatti dimenticare che, alla vigilia della guerra, quasi due milioni di emigrati egiziani garantivano lo standard di vita dei sei milioni di cittadini libici mentre, nello stesso tempo, i governanti egiziani hanno sempre considerato la Tripolitania unita da un legame particolare con l’Egitto stesso. 
A tutto ciò si aggiunge il fatto che, dopo l’inizio della guerra, il Cairo è divenuto il punto di riferimento di molti e qualificati esuli libici e il generale Haftar ha assunto la leadership della lotta contro i fratelli mussulmani, implacabili nemici del Presidente egiziano Al Sisi. La progressiva conquista del territorio libico non è stata per Haftar né facile né rapida. Ha infatti dovuto fare fronte all’ostilità di molte tribù libiche e non è stato in grado di concludere un accordo con le milizie di Misurata, sempre decisive nella determinazione dei rapporti di forza all’interno della Libia.

Anche l’avanzata degli ultimi mesi è stata molto più faticosa di quanto emerso dai comunicati dello stesso Haftar. Tuttavia i cospicui aiuti finanziari e gli ingenti rifornimenti di moderni armamenti gli hanno permesso di mettere in crescente difficoltà le difese del governo di Tripoli. Un governo ufficialmente riconosciuto dall’Onu e dalla comunità internazionale, che però non è stato accompagnato da un adeguato sostegno economico e militare.

In questa così particolare situazione il pronunciamento di Trump in favore di Haftar, se mantenuto nel tempo, non può non avere un’importanza determinante riguardo agli esiti futuri di una guerra che non è più decisa dai rapporti di forza interni ma è ormai nelle mani delle grandi potenze. Dobbiamo a questo proposito constatare che l’Egitto è stato capace di raccogliere intorno a sé il sostegno dell’Arabia Saudita e dei ricchi Emirati, divenendo il portabandiera dell’alleanza sunnita.

Un’alleanza alla quale si è affiancato Israele, nemico acerrimo dell’Iran e che può contare su una non ostilità della Russia e su un ambiguo atteggiamento francese che ha certamente impedito di fare prevalere la posizione europea in favore del governo appoggiato dall’Onu. La nuova presa di posizione americana, che si aggiunge all’appoggio ai sauditi nel conflitto nello Yemen e nel Corno d’Africa, ha definitivamente favorito Haftar e i suoi sostenitori egiziani.

Non è detto che questo ponga rapidamente fine ad una guerra che appare ormai eterna ma certo ne sposta i rapporti di forza, nonostante la palese insoddisfazione della Turchia e l’opposizione dell’Algeria. Ancora più indebolita risulta infine la posizione dell’Italia che pure, almeno apparentemente, aveva ricevuto l’aperto sostegno americano alla sua politica favorevole al governo di Tripoli.

Infiniti saranno perciò i dibattiti dedicati a spiegare il mutato atteggiamento degli Stati Uniti nella questione libica. Non penso affatto che esso sia dovuto a specifici motivi di tensione nei confronti dell’Italia. Credo semplicemente che tale mutamento sia una coerente conseguenza della dottrina dell’America First, in conseguenza della quale il rafforzamento dei propri fedeli alleati in Medio Oriente e la divisione degli europei costituiscono oggi una componente essenziale dell’interesse nazionale americano. 

Non vorrei tuttavia che quest’evoluzione divenisse un giorno una premessa per la divisione della Libia. Resta infine necessario prendere atto del definitivo tramonto del ruolo politico dell’Onu, anche se avremo molto bisogno dell’intervento delle sue strutture quando, arrivata finalmente la pace, bisognerà provvedere a ricostruire la Libia e a risollevare un popolo martoriato da troppi anni di tragiche sofferenze.
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