I segreti dell'archivio di Kafka, un processo "kafkiano" e gli inediti che verranno

Uno dei taccuini che Kafka usava per imparare l'ebraico
di Riccardo De Palo
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Lunedì 22 Aprile 2019, 19:07
Il facile gioco di parole è diventato virale: Kafka non poteva subire un procedimento più “kafkiano”, come quello conclusosi qualche giorno fa - dopo anni di surreale battaglia giudiziaria - al Tribunale distrettuale di Zurigo. La corte ha dato ragione a Israele: il tesoro di carte inedite dell’autore (appunto) de "Il processo", conservato nei caveau della banca Ubs, ora potrà essere trasferito presso la Biblioteca nazionale dello Stato ebraico, dove si trova già un vasto corpus di documenti dello scrittore praghese. Il verdetto, che intende venire incontro alle “volontà testamentarie”, permetterà quindi a tutti (studiosi e semplici lettori) di poter avere accesso alle ultime opere inedite esistenti di Kafka: una miniera di lettere indirizzate a grandi del passato come Thomas Mann, Arthur Schnitzler, Jaroslav Hasek, ma anche album di disegni mai visti, taccuini con esercizi per imparare l’ebraico, appunti di vita quotidiana, il manoscritto del racconto Preparativi di nozze in campagna, una bozza del romanzo Il castello, e un’altra del racconto incompiuto Riccardo e Samuele.

Ma cerchiamo di raccontare questa storia dall’inizio. Poco prima di morire nel 1924 di tubercolosi, a soli 40 anni, Kafka aveva lasciato tutti i suoi scritti a Max Brod, con una consegna: «Vanno bruciati senza essere letti». Come noto, l’amico contravvenne a questa volontà, permettendo al mondo di conoscere capolavori come "La metamorfosi" o "Il castello". Nel 1939, in seguito all’invasione di Hitler della Cecoslovacchia, Brod (anche lui ebreo ceco di lingua tedesca) fuggì nella Palestina britannica in tutta fretta, portando con sé una valigia con tutti gli scritti di Kafka. Si stabilì a Tel Aviv, dove lavorò come consulente letterario per il teatro Habima (che oggi è il teatro nazionale di Israele). Poco dopo, fu raggiunto in riva al Mediterraneo da Ester Hoffe, che era la sua cameriera, segretaria e che (forse) diventò anche la sua amante, quando la moglie di Brod, nel 1942, passò a miglior vita. Poco prima di morire, nel 1968, Brod donò parte delle carte di Kafka agli archivi israeliani; ma gran parte di queste rimase per circa quarant’anni nella casa della Hoffe, a fare da cuscino ai molti gatti che la donna aveva adottato. Nel 1988, il manoscritto originale de "Il processo" fu venduto da Ester a un’asta di Sotheby’s, per la cifra record di un milione di sterline. Poco dopo, la donna fu fermata mentre cercava di lasciare il Paese con una borsa piena di scritti di Kafka. Lei, messa alle strette, permise agli israeliani di avere accesso ai documenti, di inventariare l’intero lascito; e così evitò l’arresto.

Quando, nel 2007, la donna morì alla veneranda età di 101 anni, le due figlie Eva Hoffe e Ruth Wiesler nascosero le carte in diverse cassette di sicurezza, soprattutto in Svizzera. E cominciò una durissima battaglia legale. Le figlie della Hoffe (che pure erano sopravvissute all’Olocausto, come Ester) dissero di voler lasciare gli scritti all’archivio nazionale tedesco di Marbach: un vero affronto per Israele, che cominciò a sottolineare la “fede sionista” di Brod (e, forse, anche di Kafka). Morte Eva e Ruth, le figlie di quest’ultima hanno continuato il procedimento per poter restare in possesso delle carte di Kafka.

Dopo il verdetto il legale delle donne, Jehayah Etgar, ha detto che le loro clienti hanno legittimamente ereditato questi documenti, e quindi accusano lo stato israeliano di «furto di primo grado».

Ben diverso il punto di vista della Biblioteca nazionale dello Stato ebraico: «La sentenza - ha detto il suo capo, David Blumberg - completa la preparazione dell’istituzione per raccogliere l’intero archivio di Max Brod, che sarà trattato come merita e sarà reso disponibile al grande pubblico, in Israele e nel mondo».
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