​Governo, i vicepremier allontanano la crisi per l’incubo manovra di fine anno

Governo, i vicepremier allontanano la crisi per l incubo manovra di fine anno
di Marco Conti
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Domenica 21 Aprile 2019, 11:17 - Ultimo aggiornamento: 11:18

Una volte veniva chiamato fattore “K” (kommunizm) il mancato ricambio tra le forze governative che per cinquant’anni ha caratterizzato la storia repubblicana. Ora i tempi della politica sono molto più veloci, ma il sistema appare ugualmente bloccato. Stavolta potremmo chiamarlo il fattore “P” (populismi) quello che permette a Lega e M5S di contendersi da mesi pezzi di elettorato galvanizzando le rispettive tifoserie a suon di reciproci attacchi. Fuori del recinto c’è un’opposizione pressoché ininfluente, di fatto tagliata fuori per una sorta di “conventio ad excludendum” rigidamente imposta attraverso il contratto.


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I due partiti di governo da giorni si mettono l’un l’altro sotto pressione per vicende giudiziarie - la Lega per il caso-Siri e il M5S per Raggi-Ama - ma l’equilibrio è fragile solo all’apparenza, ed infatti il meccanismo va avanti ormai da mesi contando sulla inesistenza di alternative, dentro e fuori il Parlamento, e su una bolla mediatica che continua a produrre illusioni. Ma c’è un fattore esterno che però può far saltare il gioco di wrestling M5S-Lega. Qualche indizio non da poco è emerso ogni volta che, per questioni non rinviabili, è arrivato il turno del ministro dell’Economia Giovanni Tria. Lo si è visto di recente in occasione della presentazione del Def e ancora prima nel lungo braccio di ferro che ha opposto l’Italia alla Commissione europea in occasione della legge di Bilancio. I due vicepremier Di Maio e Salvini sinora hanno fatto a gara nel silenziare il Ministro e gli argomenti di sua competenza, ma tutti e due sono consapevoli che la realtà dei numeri è destinata ad imporsi e quindi - come in un videogioco - fanno a gara nel guadagnare “vite” in attesa che sullo schermo esca il mostro. Dopo giornate di scontri ieri sia Salvini che Di Maio hanno messo il silenziatore alle polemiche ed è molto probabile che martedì lasceranno al presidente del Consiglio il compito di rabberciare gli strappi con il “salva-Roma” che resta nel decreto e Siri che resta al suo posto. Arrivare alle elezioni europee di fine maggio con il governo in carica non dovrebbe essere complicato. I problemi verranno però subito dopo perché la fine della sbornia da campagna elettorale rischia di coincidere con la ripresa di attenzione da parte di Bruxelles, e quindi dei mercati, per i nostri conti pubblici.

Ciò che impedisce a M5S e Lega di affondare il colpo sta proprio nelle troppe incognite che genera una scelta di rottura e costringerebbe M5S e Lega a valutare alleanze che spingerebbero i due ad uscire da un’agenda politica che sinora li ha visti vincenti e che invece li spingerebbe uno al governo e l’altro all’opposizione. Ma se i grillini puntano a far durare il governo e la legislatura, nella convinzione che anche dopo la complicatissima manovra da 40 miliardi di fine anno ci sia tempo per recuperare nei sondaggi, nella Lega si agitano diverse scuole di pensiero su cosa fare dopo il 26 maggio. Malgrado molti sostengano che anche il Quirinale non si opporrebbe ad elezioni in autunno, Salvini continua a muoversi con estrema cautela senza farsi scuotere troppo dal pressing del sottosegretario Giorgetti e dei governatori Fontana e Zaia. Far saltare l’attuale governo con la delicata situazione dei conti pubblici, senza avere opzioni alternative, potrebbe risultare rischioso. Tanto più andare al governo e lasciare i grillini all’opposizione. Di fatto ciò che frena Salvini dall’affondare il colpo sta nel timore di ritrovarsi, dopo il governo Conte, nello stessa situazione del Pd del 2011 e alla fine più o meno costretto dagli eventi a comporre un governo di centrodestra con spezzoni del M5S. Salvini nega ipotesi di crisi e di un suo ritorno nel centrodestra. Sostiene di avere ancora molto da fare con l’attuale governo, ma ieri twittava le percentuali, oltre il 35%, che gli assegnano i sondaggi e che però dopo le Europee, senza una strategia, potrebbero trasformarsi in un boomerang.
 

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