Avramopoulos: «Profughi? Non ci aspettiamo aumenti di flussi ma la Ue si prepari»

Avramopoulos: «Profughi? Non ci aspettiamo aumenti di flussi ma la Ue si prepari»
di Teodoro Andreadis Synghellakis e Fabio Veronica Forcella
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Domenica 21 Aprile 2019, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 10:22
Dopo le parole del Capo dello Stato Sergio Mattarella che, su “Politique Internationale”, ha ribadito la necessità di una risposta collettiva sul tema dei migranti e dopo il duro monito del Santo Padre contro la politica delle porte chiuse, ad esprimere dubbi è anche Dimitris Avramopoulos, Commissario europeo per i migranti. In questa intervista a Il Messaggero, si dice preoccupato per quanto sta accadendo in Libia, anche se, sull’allarme di Al Serraj, non vede un aumento dei flussi. Se da una parte ricorda che «dobbiamo garantire il trattamento umano e dignitoso di tutti i migranti, indipendentemente dal loro status», dall’altra ribadisce che «l’Europa non può accogliere tutti». Per Avramopoulos, l’obiettivo finale rimane quello di una comune politica migratoria regolare e strutturale, attraverso ingressi legali. Perché andare in ordine sparso, rischia di non essere la soluzione.

Commissario, qualche giorno fa il presidente libico Fayez al-Serraj ha lanciato un vero e proprio avvertimento: a causa della crisi in Libia oltre 800 mila migranti, tra cui anche terroristi, sarebbero pronti a sbarcare in Italia. È preoccupato?
«Naturalmente siamo tutti preoccupati per quanto sta accadendo in Libia. L’Unione europea e i suoi Stati membri hanno già invitato tutte le parti a cessare immediatamente le operazioni militari nel paese. Siamo interessati ad evitare che la situazione peggiori ulteriormente e questo è esattamente il motivo per cui l’Ue sta agendo su tutti i fronti».

Cosa può fare nell’immediato l’Europa?
«La priorità è garantire il trattamento umano e dignitoso di tutti i migranti, indipendentemente dal loro status. Ora, la sfida è evacuare i migranti dalla Libia. Stiamo lavorando a stretto contatto con i partner sul campo per fornire assistenza e soccorso alle persone colpite dal conflitto. E, nonostante le difficili condizioni sul terreno, continuiamo il nostro lavoro insieme a Oim e Unhcr per portare i migranti fuori dalla Libia o in luoghi più sicuri del Paese».

Come si può evitare che i migranti rimangano bloccati in Libia?
«Stiamo lavorando con la Libia e con i paesi vicini proprio per evitare questo. Vorrei essere chiaro: in questa fase non abbiamo alcuna indicazione di imminenti aumenti dei flussi dalla Libia, ma dobbiamo essere preparati. Già ora chiunque arrivi negli hotspot viene identificato. Gli vengono prese le impronte digitali, viene intervistato e sottoposto a screening per l’identificazione. Tutto questo, anche grazie al supporto delle nostre agenzie sul territorio libico. Non è una novità, la nostra vigilanza complessiva e la nostra preparazione sono aumentate negli ultimi anni».

Come dovrebbe comportarsi l’Europa di fronte a queste persone che scappano da una situazione di conflitto, devono essere considerati profughi?
«L’Unione europea non può ricevere tutti i migranti. Certo, è nostro dovere ai sensi del diritto internazionale ed europeo aiutare le persone in fuga da persecuzioni e conflitti armati. La strategia e la politica dell’Ue in materia sono molto chiare e basate sui valori e i principi della Convenzione di Ginevra. Ciò significa che trattiamo i richiedenti asilo e i rifugiati vulnerabili con dignità e umanità - sia qui che nella zona in cui si trovano. Allo stesso tempo, dobbiamo anche essere consapevoli che non tutti i migranti presenti in Libia hanno bisogno di questa protezione. Per questo sosteniamo i rimpatri sicuri e volontari dalla Libia verso i paesi di origine. Infatti, prosegue il programma di rimpatri volontari verso i paesi di origine dell’Oim, mentre il centro di raccolta e partenza dell’Unhcr a Tripoli rimane pienamente operativo».

Manca poco più di un mese alle elezioni europee ed il tema dei migranti rimane in primo piano. Non si è riusciti a modificare il Regolamento di Dublino e alcuni stati membri ancora non accettano gli accordi sulle redistribuzioni. Come si potrà superare questa impasse?
«Quando parliamo di migrazione dovremmo sempre guardare al quadro complessivo. Durante il mio mandato, abbiamo compiuto maggiori progressi in materia di asilo, migrazione e gestione delle frontiere rispetto ai 20 anni precedenti. Questo è ovviamente il risultato della crisi dei rifugiati: l’Europa doveva agire e noi abbiamo agito insieme. Il numero di arrivi irregolari è al livello più basso degli ultimi 5 anni grazie al nostro duro lavoro collettivo. Allo stesso tempo, abbiamo reso più omogenea la solidarietà europea alleggerendo il carico sui paesi più esposti. Questo, grazie al meccanismo di ricollomento e intensificando il sostegno ai rifugiati che si trovano in paesi terzi. Non solo a livello finanziario, ma anche reinsediando migliaia di persone bisognose di protezione. Infine abbiamo rafforzato la protezione delle nostre frontiere esterne, anche con il recente accordo di rafforzamento della Guardia costiera e di frontiera europea. Ciò è avvenuto a tempo di record».

Trovare un accordo sulla riforma del diritto d’asilo è stato più semplice…
«C’è voluto un decennio per negoziare e mettere in atto l’attuale legislazione europea in materia di asilo. La crisi dei migranti che ci colse di sorpresa ci ha costretto a riformare il nostro intero sistema di asilo in meno di un anno. Se vogliamo facilitare il processo per ottenere protezione per coloro che ne hanno veramente bisogno - ed allo stesso tempo trattare in modo più efficace abusi e movimenti secondari - abbiamo bisogno di un sistema veramente armonizzato. Le elezioni europee dovrebbero essere l’occasione per dare nuovo impulso a queste discussioni. E la nave Alan Kurdi ci ricorda, ancora una volta, quanto siano urgenti gli accordi strutturali per gli sbarchi».

A proposito della nave Alan Kurdi, lei ha incontrato più volte Matteo Salvini che ribadisce la linea dei porti italiani chiusi a Ong e imbarcazioni di migranti.
«Su questo punto vorrei essere molto chiaro. Lo sbarco è regolato dal diritto internazionale e le leggi variano a seconda del territorio e dello Stato a cui appartiene la nave soccorritrice. Quando le operazioni di ricerca e salvataggio si svolgono nelle acque territoriali di uno Stato membro, lo sbarco deve aver luogo, appunto, in uno Stato membro. La politica migratoria dell’Ue non riguarda la deterrenza: si tratta di garantire coloro che necessitano di protezione e di ridurre allo stesso tempo i flussi irregolari e proteggendo meglio le nostre frontiere esterne. Non permettere lo sbarco non è una soluzione. Il recente caso con la nave dell’Ong Alan Kurdi mostra quanto siano necessarie soluzioni strutturali sostenibili, per garantire che lo sbarco delle persone soccorse possa avvenire rapidamente e in sicurezza». 

Per tornare ad una politica dei flussi?
«Esattamente. Il nostro obiettivo sono la migrazione organizzata e i percorsi legali, dobbiamo porre fine alla migrazione incontrollata e irregolare. Non possiamo accettare che le barche in arrivo diventino una normalità. I rifugiati non dovrebbero essere obbligati a rischiare la vita. Accolgo con favore il fatto che gli Stati membri europei e in particolare le autorità maltesi abbiano concluso con successo lo sbarco dei passeggeri dell’Alan Kurdi. Anche se il fatto che si sia trovata una soluzione ci fa sentire più sollevati, questo ultimo caso dimostra ancora una volta che l’Unione europea non può continuare a fare affidamento su queste soluzioni ad hoc».
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