Alessandro Orsini

I pericoli da Tripoli/Una guerra che l’Italia da sola non può fermare

di Alessandro Orsini
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Mercoledì 17 Aprile 2019, 00:29
La Francia ha prorogato la chiusura delle frontiere con l’Italia per altri sei mesi, perché teme di subire un attentato da parte di jihadisti provenienti dalla Libia. A quanto pare, l’allarme del premier di Tripoli ha sortito i primi effetti. Serraj ha assicurato che ci sarebbero 800 mila profughi pronti a scappare verso l’Italia, tra cui anche militanti dell’Isis. Che siano 800 mila o molti meno, non conta: l’Italia sarebbe comunque disarmata. Trattandosi di persone in fuga dalla guerra, e non di migranti economici, il governo Conte non potrebbe fare altro che concedere accoglienza. 

Davanti a una simile emergenza, la chiusura delle frontiere, da parte dei Paesi confinanti, lascerebbe l’Italia in balia di una pressione migratoria senza vie di sfogo. Ne consegue che l’Italia ha la massima urgenza di ottenere l’interruzione delle ostilità a Tripoli, ma non la Francia, che non sta facendo niente di concreto per arrestare l’aggressione di Haftar, la cui offensiva ha però subito una battuta d’arresto grazie alla reazione degli assediati. 
In questa fase, in cui le forze in campo sembrano bilanciarsi, tutto dipende dal pagamento degli stipendi. Vincerà la fazione che avrà più risorse economiche per arruolare soldati e garantire una paga duratura. Da questo punto di vista, Haftar appare ben posizionato.

A febbraio ha conquistato un importante pozzo petrolifero, quello di Shahara, che gli ha procurato risorse significative. Poi ha incontrato il re saudita Salman, il 27 marzo a Riad, il quale gli ha assicurato un sostegno di decine di milioni di dollari. Giunto a questo punto, gli mancava soltanto una copertura politica in sede Onu e nell’Unione Europea, che è giunta proprio dalla Francia. Macron non può vendere le armi ad Haftar, dal momento che l’Onu ha decretato l’embargo delle armi verso la Libia, ma può bloccare tutte le iniziative della comunità internazionale contro il generale, come ha fatto di recente quando ha impedito l’approvazione di un documento di condanna caldeggiato dall’Italia.

Quanto alle armi, sembra proprio che giungano dagli Emirati Arabi Uniti. I calcoli di Haftar non sono sbagliati. Considerato anche l’appoggio dell’Egitto, appena ribadito da al Sisi, non esiste un momento più favorevole per avanzare. Haftar riceve copertura politica dalla Francia, soldi dall’Arabia Saudita e armi dagli Emirati Arabi Uniti: ha tutto. Serraj, che conosce questi fatti, sa che la partita si gioca più nelle diplomazie internazionali che in Libia. E così sta cercando di convincere l’Italia a concedergli lo stesso appoggio che l’Arabia Saudita assicura al suo nemico. Serraj chiede armi e soldi. Tutto ciò aiuta a comprendere l’allarme che ha lanciato circa gli 800 mila profughi. Se nessuno gli crederà, il suo governo finirà. Il suo nemico non si fermerà, se non sarà fermato.

Haftar è in una posizione troppo favorevole: può assediare senza essere assediato. Respinto, non perderebbe nessuno dei suoi territori e questo gli fornisce un grande incentivo a proseguire. Haftar è sordo alle richieste di pace dell’Italia perché - che vinca o che perda la battaglia di Tripoli - non rischia di cadere. Anche l’Italia ha affermato che, in caso di tregua, Haftar conserverebbe il suo ruolo di spicco. Se ad Haftar la guerra per conquistare Tripoli non costa niente, perché dovrebbe rinunciare? Chiedendo armi e soldi, Serraj sta cercando di innalzare i costi per Haftar, ma questo richiede di innalzare i costi per l’Italia.

Il problema è che il governo Conte, a guerra in corso, può fare ben poco. Una legge del 9 luglio 1990 impedisce all’Italia di vendere armi a un Paese in guerra e Di Maio ha escluso un intervento in Libia. All’Italia resta soltanto l’aiuto di Trump, che però non sembra intenzionato a intervenire, come dimostra il fatto che, all’avanzare di Haftar, ha ordinato il ritiro dei soldati americani da Tripoli. Il gesto è parso come un via libera all’offensiva. D’altronde, i rapporti tra il re saudita e Trump sono ottimi. Salman non farebbe mai niente di sgradito al presidente americano, il quale non ha posto veti all’avanzata verso Tripoli. Il governo Conte non ha colpe. La struttura delle relazioni internazionali, emersa dopo la seconda guerra mondiale, è concepita in modo tale da rendere l’Italia irrilevante, quando si arriva allo scontro armato. L’Italia non può che fare appelli alla pace, che però non fermano le guerre. 
aorsini@luiss.it
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