Francesca Bria: «Privacy nelle città diventate smart»

Francesca Bria: «Privacy nelle città diventate smart»
di Mauro Evangelisti
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Mercoledì 17 Aprile 2019, 03:00 - Ultimo aggiornamento: 12:39
Sensori nei cassonetti e sulle strade, un sistema ibrido - in rete e in assemblee pubbliche - per la partecipazione dei cittadini, una infrastruttura di dati pubblica a disposizione anche delle imprese del territorio. Se per Roma tutto questo sembra fantascienza, per Barcellona è realtà quotidiana anche grazie al contributo di una romana di Monti, Francesca Bria, quarantenne, da quattro anni assessore all’innovazione tecnologica con la sindaca Ada Colau. Sia chiaro: Barcellona non è la città perfettina del Truman Show, è problematica, conflittuale, però è a livello mondiale un punto di riferimento tra le smart city. 

In cosa consiste il sistema di innovazione che aiuta Barcellona a funzionare meglio?
«Per noi costruire una smart city significa ripensare la città del futuro e il modello tecnologico partendo dai cittadini, mettendo al centro i loro bisogni. Abbiamo messo in campo una grande piattaforma di partecipazione digitale: oltre 400.000 cittadini hanno partecipato alla creazione del programma del governo di Barcellona, con un processo ibrido di partecipazione online (con la piattaforma digitale “Decidim Barcelona”) e offline con assemblee cittadine sul territorio. Le proposte arrivate dai cittadini sono state filtrate e analizzate dalla squadra di governo. Il 70% delle azioni di governo del comune di Barcellona vengono direttamente da proposte dei cittadini».

Tutto molto bello, ma come si comincia un percorso di questo tipo?
«Se parliamo di smart city, a Barcellona non siamo partiti dalla tecnologia, dalla connettività, dall’installazione di sensori o dalla raccolta di dati, per poi chiederci cosa farne. Abbiamo ribaltato il paradigma. La nostra idea di smart city va ben oltre la tecnologia fine a sé stessa, ci poniamo obiettivi ambiziosi per risolvere le sfide del nostro tempo come il cambio climatico e la sostenibilità. A Barcellona ci sono 20 processi di partecipazione in corso, che coinvolgono tantissimi cittadini nella progettazione dei nuovi servizi urbani: dalle piste ciclabili alle politiche energetiche e culturali. I temi ambientali hanno la massima priorità. Ad esempio abbiamo creato una nuova impresa pubblica per la transizione energetica, che produce energia solare per tutti gli edifici municipali e con un pilota per 20.000 case private. Per promuovere questi cambiamenti abbiamo bisogno di risorse e di una forte partecipazione. In questo momento storico di crisi della rappresentanza politica o si mettono in campo forme di partecipazione democratica dal basso concrete e che funzionano, o si andrà sempre più verso una deriva populista di destra, e aumenterà la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni pubbliche».

Smart city non significa solo partecipazione.
«Esattamente. L’innovazione ci serve a potenziare la mobilità sostenibile, la transizione energetica, a lottare contro il cambiamento climatico. Tutti i veicoli municipali sono elettrici, abbiamo triplicato le piste ciclabili e il numero di biciclette. Uno degli esempi più virtuosi: la creazione di 12 “superblocchi”, intere aree di 12 quartieri differenti in cui le macchine non possono entrare, recuperando così il 60% di spazi pubblici, trasformati in spazi cittadini verdi. La tecnologia ci è servita per riprogettare questi spazi insieme ad urbanisti, architetti e residenti. Abbiamo raccolto dati in tempo reale per comprendere l’impatto di questo tipo di politiche sulla città. Ho anche creato un Ufficio Municipale di analisi dei dati, con 40 professionisti in data science per gestire in maniera migliore la città. Barcellona ha 700 km di fibra ottica pubblica, e una rete di sensori: nei cassonetti dei rifiuti, nelle strade, nei lampioni, nei parchi. Tutti questi sensori trasmettono dati importanti, che ci dicono ad esempio se un cassonetto è stato svuotato e che tipo di rifiuti c’erano; ci permettono di ottimizzare i trasporti e la gestione dell’acqua o dei parchi, la gestione energetica e poi aiuta poi in questo modo siamo in grado di prendere decisioni migliori. I dati per noi sono un’infrastruttura pubblica, come l’energia, l’acqua o le strade».

Il rischio: chi governa può controllare i dati dei suoi cittadini.
«No, al contrario. Noi abbiamo una piattaforma di dati sicura. I dati personali del singolo cittadini non sono conosciuti neppure da chi li gestisce questi dati. Usiamo sistemi decentralizzati e crittografici di ultima generazione basati sulla blockchain, grazie al un progetto decode da me coordinato e finanziato dalla commissione europea, che ci ha permesso di lavorare con alcuni degli esperti di crittografia più bravi rinomati d’Europa. Stiamo proponendo un vero e proprio patto sociale sui dati».

In che modo?
«Abbiamo creato un modello di gestione democratico dei dati che vengono controllati dai cittadini stessi e non finiscono solo nelle mani delle grandi piattaforme digitali. Il modello che proponiamo è la sovranità digitale, in modo le città possano riprendere il controllo democratico delle infrastrutture digitali e dei dati e utilizzarli per creare valore pubblico, allo stesso tempo preservando la privacy e i diritti dei cittadini».

Quale sarà il prossimo passo?
«I dati sono il petrolio dell’era contemporanea, ma ormai vengono accumulati solo dalle grandi compagnie come Facebook e Google. Noi questi dati li mettiamo a disposizione di cittadini, giornalisti, imprese, start-up, che possono utilizzarli per migliorare i loro progetti o iniziative. Così rappresentano un valore aggiunto per l’economia locale».

A Roma in che modo la tecnologia e l’innovazione possono migliorare la Capitale?
«Roma ha già fatto un ottimo lavoro per mettere le basi dello sviluppo futuro. Ha questo patrimonio culturale millenario, nel momento in cui stiamo affrontando una nuova rivoluzione tecnologica e digitale deve ripensare il suo modello alla luce dell’innovazione, mettendola al servizio dei cittadini».
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