Istat, l'Italia è la nazione più anziana d'Europa e senza ricambio generazionale

Istat, l'Italia è la nazione più anziana d'Europa e senza ricambio generazionale
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Giovedì 11 Aprile 2019, 13:45 - Ultimo aggiornamento: 16:40

«Non si ferma la crescita dell'indice di vecchiaia che al primo gennaio 2018 raggiunge quota 168,9: il rapporto tra gli anziani (65 anni e più) e i giovani (meno di 15 anni) registra così un nuovo record nazionale». Lo rileva l' Istat nel rapporto Noi Italia. «In ambito europeo, l'Italia - sottolinea l'Istituto di statistica - si mantiene al primo posto nella graduatoria decrescente per l'indice di vecchiaia».

Con 168,9 anziani ogni cento giovani e tra i primi sei Paesi per indice dipendenza, con 56,1 persone in età non lavorativa ogni cento in età lavorativa. Stabile la speranza di vita alla nascita per entrambi i generi: 80,8 anni per gli uomini e 85,2 per le donne, con una maggiore longevità al Nord.

In ambito Ue l'Italia è al primo posto insieme a Svezia e Malta per i maschi e al quarto posto per le femmine dopo Spagna, Francia e Lussemburgo (dati 2016). Si conferma sensibilmente sotto alla media nel nostro Paese il numero di figli per donna: 1,32, valore
«sensibilmente inferiore - rilevano dall'Istituto di statistica - alla soglia che garantirebbe il ricambio generazionale (circa 2,1 figli)». L'età media della madre è di 31,9 anni, le più giovani risiedono nelle regioni del Mezzogiorno. Nella graduatoria europea, il nostro Paese si colloca all'ultimo posto per fecondità, insieme alla Spagna.

Cresce la povertà in Italia e l'occupazione resta ai minimi dal 2008, classificando l'Italia al penultimo posto in Europa, subito pruima della Grecia. E' quanto emerge dal report "Noi Italia. 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo" pubblicato dall'Istat. Una selezione di oltre 100 indicatori statistici del nostro Paese, delle differenze regionali che lo caratterizzano e della sua collocazione nel contesto europeo. Gli indicatori, articolati in sei aree e 19 settori, offrono una lettura dei fenomeni analizzati nel tempo e nello spazio e tra i risultati più interessanti emergono quelli sulla povertà, sul tasso di occupazione e sul Pil pro-capite.

La povertà è un fenomeno diffuso che colpisce soprattutto il Mezzogiorno

Per quanto riguarda il primo, quello sulla povertà, l'analisi ha evidenziato che, nel 2017, sono cresciute in Italia sia l'incidenza di povertà assoluta (6,9% delle famiglie residenti) sia quella relativa (12,3% delle famiglie). Si conferma il forte svantaggio del Mezzogiorno, con il 10,3% delle famiglie in povertà assoluta e quasi un quarto in situazioni di povertà relativa. Sicilia e Lazio sono le regioni dove la diseguaglianza, misurata in termini di concentrazione del reddito, è la più elevata mentre nelle regioni del Nord-est prevale una maggiore uniformità. Se confrontata con i Paesi dell'Ue, l'Italia presenta un valore più alto di quello medio europeo che si attesta allo 0,307.

Occupazione quasi sui livelli del 2008

Il tasso di occupazione nel 2018 relativo alla categoria dei 20-64enni sale al 63%, un valore di poco superiore a quello del 2008 che conferma, inoltre, lo squilibrio di genere a sfavore delle donne (72,9% gli uomini occupati, 53,1% le donne), così come il divario territoriale tra Centro-nord e Mezzogiorno. Nel confronto europeo ad avere un tasso di occupazione inferiore a quello italiano vi è solo la Grecia mentre si è ampliata la distanza con la media dell'Unione, specie per le donne.

L'incidenza del lavoro a termine raggiunge il 17% nel 2018 e risulta più alta nelle regioni meridionali rispetto al Centro-nord. Rimane sostanzialmente stabile la quota di occupati a tempo parziale: più elevata per le donne (32,4% contro 8,5%) ma uniforme nella distribuzione sul territorio nazionale. In calo il lavoro sommerso che pero' nel 2016 coinvolge ancora il 13,1% degli occupati. A eccezione di Emilia-Romagna, Marche e Molise tra il 2015 e il 2016 tutte le regioni registrano una diminuzione dell'incidenza del lavoro non regolare. Il Mezzogiorno presenta il valore più elevato, pari al 18,6%, con un massimo del 22,3% in Calabria.

PIL pro capite nominale non recupera valori 2011

Infine, nel 2017 il Pil pro capite italiano, valutato ai prezzi di mercato, è aumentato per il terzo anno consecutivo, con un incremento del 4,1% in termini reali, ma in valore assoluto non ha recuperato il valore del 2011 (26.427 euro a fronte di 26.869). Misurato in standard di potere d'acquisto, utile per un confronto depurato dai differenti livelli dei prezzi nei vari Paesi, risulta inferiore a quello medio dell'Ue dal 2013. Nello stesso anno di riferimento si rinvigorisce anche la quota dei consumi finali sul Pil (79,4%) e si mantiene più elevata rispetto alla media Ue28 (75,7%) e ai principali Paesi dell'area. La quota degli investimenti sale al 17,6%, ancora inferiore alla media europea (20,2%).

Il nostro Paese si conferma al quarto posto nella graduatoria europea per esportazioni mondiali di merci (2,92% la quota di mercato nel 2017).

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