Carlo Nordio
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Oltre il caso Marino/ Il boomerang giudiziario che declassa la politica

di Carlo Nordio
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Giovedì 11 Aprile 2019, 00:18 - Ultimo aggiornamento: 10:25
La vicenda dell’ex sindaco di Roma Ignazio Marino, indagato per peculato e falso, estromesso dalla carica, assolto in primo grado, condannato in appello, e ora definitivamente scagionato dalla Cassazione «perché il fatto non sussiste», rappresenta quella maledizione che grava sul nostro infelice Paese da venticinque anni, alimentata da un sistema processuale irragionevole, da una giustizia lenta e aleatoria e da una sua strumentalizzazione spregiudicata.
Primo. Il sistema è irragionevole perché consente che l’imputato, assolto in primo grado, venga condannato in appello senza che il dibattimento debba essere rinnovato e senza l’intervenuto di fatti nuovi. Poiché la condanna può intervenire soltanto «al di là di ogni ragionevole dubbio», come recita l’articolo 533 del codice di procedura penale, è assurdo che un giudice condanni dove un altro giudice ha già dubitato al punto di prosciogliere.
Ed infatti questa incongruenza non esiste in nessun Paese al mondo che abbia adottato, come noi pomposamente pretendiamo, il codice accusatorio “alla Perry Mason”. Il nostro legislatore ci aveva provato, ma il tentativo è stato bocciato dalla Corte Costituzionale. Così il nostro codice resta un indovinello avvolto in un impenetrabile mistero. Una Ferrari con il motore della cinquecento, che si inceppa ad ogni occasione.
Secondo. Il calvario di Marino è durato 4 anni. Neanche tanti rispetto alla media dei processi, ma un periodo insopportabile se si pensa che l’imputato nel frattempo ha perso la carica e anche la faccia, visti gli sbeffeggiamenti cui è stato sottoposto per un fatto che, da un punto di vista penale, neanche sussiste. È vero che la responsabilità penale non esaurisce il catalogo delle colpe, e spesso quelle deontologiche - come il malgoverno - sono anche più gravi di quelle sanzionate dal codice. Ma è anche vero che Marino non è stato eliminato per queste ultime, ma in base alla sciagurata teoria che subordina la politica all’ iniziativa giudiziaria: le dimissioni in blocco dei consiglieri della sua maggioranza dem. 
E qui arriviamo al terzo punto: la strumentalizzazione delle indagini, che dai tempi di Mani Pulite costituisce lo strumento principale da parte di una politica debole e gregaria, per eliminare l’avversario attraverso i processi quando non riesce a sconfiggerlo con le armi delle elezioni. Tradendo così non diremo la sua missione, ma certamente il suo ruolo, che affida ai cittadini, e non alle toghe e tanto meno alle anime belle il giudizio definitivo sulla adeguatezza dei propri rappresentanti. 
Il paradosso (o la Nemesi) è che il partito democratico, di cui Marino era espressione, reca una enorme responsabilità in questa perversione della fisiologia democratica, perché da venticinque anni, salvo rare ed episodiche reazioni, si è allineato sulle posizioni di un giustizialismo intransigente. Per di più il Pd ha arruolato e continua ad arruolare magistrati distintisi - magari meritoriamente – nelle indagini penali. 
Se questo esprima un’incapacità di selezionare nel proprio ambito giuristi adeguatamente preparati, oppure una “captatio benevolentiae” verso i giudici è questione marginale. Sta di fatto che la sua politica ne è uscita pesantemente ipotecata, e continua a predicare il principio che l’imputato deve, confidando nella giustizia, fare comunque “un passo indietro”. Se poi questa edittazione moralistica sia determinata da bassi calcoli di potere interno, è questione anch’essa marginale. Ma questi sono i risultati, e Marino non è stato né il primo né l’ultimo a subirne le funeste conseguenze. 
E i grillini? Anche loro ne escono malconci: non solo perché le accuse allora rivolte al sindaco si sono rivelate infondate, ma perché sono stati costretti, dalla vicenda della Raggi e da quelle più recenti di De Vito e altri, a rivedere buona parte di quel codice etico sul quale avevano fondato la loro crociata. Anzi, balza agli occhi che nel caso del processo alla Raggi hanno potuto ottenere il trattamento garantista - attesa della sentenza, senza interruzione della carica - che invece con la loro denuncia hanno negato all’allora sindaco-avversario. Ma mentre per i pentastellati questi sbalzi di umore sono fisiologici, in quanto naturali a un movimento destrutturato di ideologia e orfano di tradizioni, per il Pd la lezione è particolarmente amara, perché il suo codice genetico contiene, o dovrebbe contenere, il garantismo della sinistra storica, tradizionalmente diffidente dei poteri della spada, della tonaca, e soprattutto della toga.
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