Marco Gervasoni

Solitudine di un Paese/ La strategia che manca per avere peso in Libia

di Marco Gervasoni
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Martedì 9 Aprile 2019, 00:10
Sarebbe ingeneroso attribuire tutte le colpe del disastro libico - perché di disastro si tratta - all’attuale governo italiano. Quelli precedenti, ad esempio, si sono affidati troppo ciecamente, sulla spinta dell’amministrazione Obama, ad al-Serraj, che fin da subito appariva molto debole. Così come, quando è stato eletto Macron, è parso che gli esecutivi precedenti non hanno fatto argine al protagonismo francese. <HS9><HS9>È certo però che l’attuale ha sottovalutato la situazione. E ora ci troviamo con il rischio concreto che possa imporsi il generale Haftar, che certamente non farebbe partire tutti gli immigrati verso le nostre coste, ma condizionerebbe, sulla base di un nuovo accordo, la gestione dei campi e soprattutto ci imporrebbe la sua politica energetica - che poi sarebbe quella più gradita a Parigi. L’Italia si è trovata spiazzata davanti all’appoggio di Egitto ed Emirati Arabi ad Haftar: eppure si tratta di due paesi con cui il nuovo esecutivo aveva ricucito, e non poco. Gli Stati Uniti di Trump, tra l’altro, avevano fornito molto credito a Conte, anche sulla Libia. La Conferenza di Palermo è stata in questo senso un’occasione: che però è stata sprecata. Lo scontro con Macron e con la Francia ha riguardato poi anche la Libia: ma quando ci si batte o si va fino in fondo, oppure non ci si impegna neppure.

E per andare fino in fondo occorreva rinsaldare o quantomeno non indebolire il rapporto con gli Usa. Ora è innegabile che questa relazione speciale degli Usa di Trump con noi si sia usurata. E su questo ha certamente pesato il memorandum sulla Cina, e forse, più che il memorandum in sé, il modo in cui è stato gestito. Gli Usa non hanno ritirato uomini e risorse dalla Libia per fare un dispetto a noi, sarebbe ridicolo solo pensarlo. Semmai Trump non ha mai dimostrato molto interesse al fronte libico e, più in generale, la politica della presidenza Usa si vuole lasciare alle spalle l’interventismo teo-con, praticato anche da Obama. Ma se questo è vero, è vero anche che gli Stati Uniti ci avevano assicurato un supporto politico importante. Ma ora Washington ha preferito aiutare Egitto ed Emirati Arabi, invece che Roma.

Qui non si tratta di sviste. Gli errori strategici sono frutto di una visione in politica estera offuscata da due fattori: la prima è la divergenza, anche su questo piano profonda, tra Lega e 5 stelle. La seconda è l’assenza di una strategia. Riguardo al primo fattore, la Lega è stata la forza decisamente più spostata verso gli Stati Uniti della coalizione: ma su molti dossier, dalla Libia al Venezuela alla Cina, ha dovuto per forza di cose mediare con i 5 stelle, la cui linea in politica estera è imprevedibile e ambigua. Pro-russa sul Venezuela, pro cinese sulla Cina, pacifista a oltranza e contraria alle spese militari sulla questione F-35, non pervenuta sulla Libia. Ora è vero che la politica estera non può essere affrontata con chiavi ideologiche: ma al tempo stesso essa è la politica nella essenza più pura, in cui alla fine si deve decidere, si deve agire, non si può mediare infinitamente.

E qui veniamo all’assenza di una strategia a lunga gittata da parte italiana. C’è il rischio concreto di un isolamento, a causa della mancanza di sponde internazionali. Non a caso, sulla Cina, è dovuto intervenire il presidente della Repubblica per rassicurare gli alleati americani, che comunque si sono fatti egualmente sentire, addossando maggiore responsabilità dello strappo su Di Maio che non su Salvini. Vedremo quel che succederà in Libia. Ma per il futuro sarà bene che il governo riprenda la nostra tradizione nazionale in politica estera: stringere alleanze solide ma poi interpretarle in maniera libera e creativa, per perseguire l’interesse nazionale senza schiaffeggiare o umiliare gli alleati. Abbiamo fatto così nell’Italia liberale, persino nell’Italia fascista e soprattutto nell’Italia della guerra fredda. I leader del passato sono morti e non torneranno più, ma le loro lezioni dovrebbero sempre ispirare le azioni dei loro successori.
 
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