Paolo Graldi
Paolo Graldi

Stupro di Napoli, tutti liberi: «Lei ha mentito»

Stupro di Napoli, tutti liberi: «Lei ha mentito»
di Paolo Graldi
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Giovedì 4 Aprile 2019, 23:38 - Ultimo aggiornamento: 5 Aprile, 10:20
La verità mediatica su quel fattaccio dello stupro di gruppo alla Circumvesuviana, che ha tenuto banco su giornali e tv un mese, con due successive sentenze del Tribunale del Riesame si polverizza. La verità giudiziaria traccia un solco profondo sul racconto fin qui ascoltato.

Si afflosciano come palloni forati ore di discettazioni, interviste televisive in diretta, lettera al Tg1 gonfie di disperazione e di dolore.


Un senso di acuto smarrimento ci prende e ci scaraventa in un tumulto di pensieri confusi: ci siamo appassionati, protesi nella sofferta solidarietà per quella povera ragazza violentata da un gruppo di giovinastri, ascoltandola e sentendola vicina nel suo smarrimento avvolto dalla paura e adesso sei giudici ci dicono, in buona sostanza che mentiva.
Dicono che la mente la tradisce, che il suo assetto psicologico, traballa, vaga, stravede, deforma.
Dopo la scarcerazione dei primi due Carmela, nome di comodo, è stata portata in tv, il volto dissimulato, la sagoma esile, le mani tremanti, l’avvocato di fiducia sempre al suo fianco, per integrare il racconto, riempirlo di dettagli, governarlo.

Diceva che aveva scelto la strada delle telecamere per proteggersi dalla paura, paura di rappresaglie, ora che i due erano tornati liberi, liberi di vendicarsi delle accuse e del carcere subìto.
Affetta da severi disturbi alimentari, era arrivata a pesare 24 chili e ora ne aveva guadagnati 42, Carmela si raccontava così: “Solo adesso capisco che mi vogliono bene anche al di là del mio corpo”.
E sognava di studiare psichiatria: per “aiutare chi ha i problemi che ho avuto io”.

Apparizioni a L’Aria che tira (La7) con Myrta Merlino e poi a Porta a Porta da Bruno Vespa per attestare un racconto aspro, dettagliato, crudo come nei film sui giochi di clan.
E l’idea, addirittura, di mettere in piedi una fondazione per proteggere le donne vittime delle violenze, tema scandito anche nel sangue dalle cronache quotidiane e di stringente attualità.
La lente della legge ci fornisce, d’improvviso e senza mezzi termini, una verità diversa. L’indagine ha compiuto una sorta di tomografia computerizzata ai diversi momenti della brutta storia, li ha scomposti, ingranditi, confrontati.

E allora, i giudici del Tribunale del Riesame hanno deciso che non c’erano più ragioni per tenere in carcere i tre ragazzotti che hanno ammesso di aver compiuto un atto sessuale di gruppo ma sono stati tutti determinati nella versione di una Carmela forse un po’ sballata, qualche “canna” di frequente, comunque non forzata a farlo. Serena nell’entrare in ascensore con i suoi stupratori, tranquilla all’uscita, niente di conciliabile con l’aggressione sessuale appena subita, anche se, fattore importantissimo, i periti medico legali si sono pronunciati evidenziando lesioni compatibili con un rapporto violento.

Insomma, Carmela non sta bene con la testa e però non ha detto la verità.
Ovvero: ha mentito. Ha consegnato una versione sul comportamento di Alessandro Sbrescia e Antonio Cozzolino, (i primi ad essere scarcerati), e di Raffaele Borrelli, rilasciato ieri ritenuta non veritiera.
Ci si interroga sulla delicatezza della materia e della tempistica del suo racconto: l’arresto del gruppetto di balordi - il cui comportamento andrà eticamente riletto - ha come autorizzato il deflagrare del fronte accusatorio.
E questa vicenda, al tempo della violenza sulle donne che dilaga e sconvolge, deve indurre ad uso cauto e ragionato dei media. Ci si interroga sul ruolo dell’avvocato, e se non fosse stato più accorto e cauto impedire alla ragazza di affrontare gli studi televisivi piuttosto che proteggerne la riservatezza.
Il dritto e il rovescio di Carmela, e i suoi racconti pubblici ci lasciano confusi e interdetti e tuttavia le sue testimonianze, forse allucinate, non aiutano la causa delle ragioni delle donne.
Anche la pietà ha bisogno di verità, a volte.
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