Luca Ricolfi
Luca Ricolfi

Solitudine dei romani/ La Capitale e quel senso di ingiustizia inascoltato

di Luca Ricolfi
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Giovedì 4 Aprile 2019, 00:04
Riassumiamo i fatti. L’altro ieri i residenti di Torre Maura (quartiere di Roma) hanno dato vita a una rivolta, con vari episodi di violenza e di intimidazione, quando si sono accorti che il Comune stava trasferendo 77 rom in un centro che, fino a poco prima, aveva ospitato alcune decine di migranti. Gli abitanti di Torre Maura, recentemente “liberati” della presenza dei migranti, non ci hanno visto più quando se li sono visti sostituire con i rom.

L’operazione rientra nella cosiddetta “terza via” di Virginia Raggi: trovare un compromesso fra il buonismo “senza sé e senza ma” della sinistra e il cattivismo, anch’esso senza se e senza ma, della Lega e del suo leader Salvini. L’idea è (o meglio era) di sgomberare i campi rom, assicurando percorsi di reinserimento individuale (formazione, lavoro, alloggio, ritorno in Romania), ampiamente finanziati dalla mano pubblica. Una strategia già tentata senza grande successo l’estate scorsa con il campo rom di Prima Porta (Camping River). Oggi, forse scottata da quell’esperienza, la sindaca la riformula in modo un po’ più filosofeggiante: “Su migranti e campi rom sto portando avanti la ‘terza via’: inflessibili con i delinquenti, accoglienti con le persone fragili. Semplificare i temi complessi è sbagliato”.

Giustissimo, ma più facile a dirsi che a farsi. Perché portare in blocco 70 rom in un quartiere degradato, che ha già enormi problemi, dallo stato penoso degli alloggi comunali ai roghi dei cassonetti, che cos’è se non un modo semplicistico di affrontare il problema? (e infatti l’Amministrazione comunale ha già fatto macchina indietro: i 70 rom, in massima parte donne e bambini, saranno portati tutti via entro una settimana).

Semplicistico, soprattutto, è prendersela con l’ira popolare senza comprenderne le ragioni. Ragioni che non giustificano in alcun modo gli atti violenti e le manifestazioni di odio (su cui già indaga la Procura) ma che hanno una loro macroscopica consistenza. Proviamo a riassumerle, una ad una.
Prima ragione. La gente non capisce perché si continui a parlare di periferie degradate, della necessità di riqualificarle, dell’urgenza di un ritorno della politica nei quartieri, e poi non riesce né a tener pulite le strade (che è il minimo sindacale per un’amministrazione), né a garantire la sicurezza (che è il minimo sindacale per uno Stato), e come se questa assenza non fosse già abbastanza colpevole scarica su un territorio già stremato i problemi di specifici gruppi sociali (migranti e rom), peraltro noti per un tasso di criminalità superiore alla media.

Seconda ragione. La gente non capisce perché un cittadino italiano ordinario, per vivere, debba sbattersi in cerca di un lavoro e di una casa, mentre alcuni gruppi sociali “speciali” paiono godere di una sorta di diritto a reddito e alloggio. E ancor meno capiscono che altre minoranze sventurate, questa volta costituite da cittadini italiani, non godano di altrettanti diritti e attenzioni (“andate via, fate venire i terremotati che stanno sotto la neve!” è una delle frasi che si sono ascoltate durante le proteste a Torre Maura).

Terza ragione. La gente non capisce la “terza via” perché sa perfettamente come andrà a finire: il lato buonista premierà le persone fragili (o presunte tali), il lato cattivista resterà lettera morta. Perché è facilissimo spendere soldi dei contribuenti o dell’Europa per gestire l’accoglienza, è praticamente impossibile arginare i comportamenti illegali (le periferie non sono sufficientemente presidiate dalle forze dell’ordine, intere porzioni del territorio sono in mano alla criminalità, chi infrange le leggi può tranquillamente essere arrestato e liberato decine di volte).

La realtà, temo, è che la Terza via, attuata con tanta improvvisazione (pare che dell’operazione di trasferimento a Torre Maura non fosse stato informato neppure il presidente grillino del VI Municipio, di cui Torre Maura fa parte), non possa che rafforzare la reazione cui pretende di porre un freno. Certo, se si pensa che le reazioni rabbiose al trasferimento dei rom siano dovute alla rozzezza del volgo romano, o all’estrema destra che soffia sul fuoco, aizzando i peggiori istinti popolari, allora non c’è niente da fare: fascismo e razzismo avanzano tenendosi per mano, e tocca ai sinceri democratici resuscitare antifascismo e antirazzismo, i due grandi anticorpi alla disumanizzazione trionfante.

C’è però anche un altro modo di mettere le cose. A giudicare dai resoconti della protesta, dalle frasi e dagli slogan che si sono sentiti, il sentimento centrale che pare animare la protesta non è l’odio ma, forse più semplicemente e umanamente, un forte, fortissimo, disperato senso di ingiustizia. Chi fatica a sbarcare il lunario in un quartiere degradato, non riesce a capire perché i migranti non siano inviati in altri quartieri delle città (già: perché?), soprattutto in quelli del politicamente corretto i cui abitanti manifestano orgogliosamente in favore dell’accoglienza. Ma soprattutto non capisce un’altra cosa: perché, nella distribuzione delle risorse pubbliche, la maggior parte dei cittadini siano lasciati soli, a giocare la loro difficilissima battaglia individuale per la sopravvivenza, mentre ad alcuni gruppi e minoranze (rom e migranti innanzitutto) è accordata una speciale precedenza e attenzione, il tutto senza che alcun merito, o fragilità estrema, giustifichi una tale differenza di trattamento.

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