Paolo Balduzzi
​Paolo Balduzzi

Le “pensioni elettorali” che pesano sul futuro

di ​Paolo Balduzzi
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Martedì 2 Aprile 2019, 00:09
«Noi politici sappiamo bene cosa sia giusto fare, solo che non sappiamo come farci rieleggere una volta che lo abbiamo fatto». Questa massima, attribuita a seconda delle stagioni a Churchill, Kennedy, e ultimamente perfino al presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, racchiude una delle grandi e tristi verità della politica. Vale a dire, che spesso la ricerca del consenso immediato, e quindi della rieleggibilità, è incompatibile con scelte strategiche di lungo periodo, ben più utili ma meno visibili. 
A onor del vero, nel nostro Paese verrebbe da pensare che essa sia fin troppo ottimistica. Il sospetto è che in Italia, e non certo da oggi, la classe politica ignori addirittura il «cosa sia giusto fare». Ultimamente ciò risulta evidente in modo particolare, visto che governo e leader politici sembrano aver deciso di ignorare o derubricare a semplici scocciature i richiami verso politiche che siano davvero orientate alla crescita. La reazione, invece che di gratitudine o perlomeno di critica osservazione, è invece lo sberleffo. 
Un vice premier chiama gufi gli industriali quando confermano le stime di bassa crescita per il 2019; l’altro vice premier si rivolge agli economisti dell’Ocse dando loro dei “signori dell’austerity”.
La colpa di questi ultimi, infatti, è quella di avere ulteriormente rivisto al basso le prospettive di crescita dell’economia italiana - negativa, addirittura, secondo le loro stime; in aggiunta, l’Ocse ha ieri certificato che parte di questa performance negativa è dovuta tra le altre cose anche a “Quota 100”, l’intervento sulle pensioni contenuto nella legge di bilancio che, nella retorica governativa, avrebbe dovuto cancellare la riforma Fornero ma che nella realtà dei fatti riesce solo a collezionare una serie di caratteri negativi. Oltre a creare un serio danno strutturale ai conti pubblici prossimi venturi. Insomma, l’ennesimo fattore di rischio per il sistema Italia.
Innanzitutto, va in controtendenza rispetto all’invecchiamento della popolazione e alla sua efficienza lavorativa. Poi, essendo limitata a tre anni, crea disparità di trattamento tra lavoratori e al tempo stesso introduce disincentivi all’occupazione; inoltre, sempre per il suo carattere temporaneo, è iniqua anche rispetto a lavoratori che hanno avuto la stessa carriera ma hanno età differenti. Non dovrebbe nemmeno sorprendere che l’intervento non fa che aggravare l’andamento della spesa per le pensioni, allontanandolo dal sentiero sostenibile su cui finalmente si stava dirigendo. 
Infine, ed ecco il richiamo dell’Ocse, essa contribuisce a mantenere debole la nostra economia, togliendo occupati molto produttivi (molto esperti e non ancora tropo anziani) dal mondo del lavoro. Ammettiamo le nostre colpe: ormai da mesi, e in maniera ripetuta, da queste colonne abbiamo sostenuto la stessa tesi. La conferma di un organo internazionale, tecnico nonché indipendente, non fa che rinforzare la posizione delle voci critiche. L’equazione è presto fatta: se venti miliardi di euro in tre anni fossero stati usati per rilanciare gli investimenti pubblici e per stimolare quelli privati, per rinforzare e facilitare l’occupazione giovanile e femminile, nonché per migliorare le infrastrutture di questo Paese, oggi saremmo qui a raccontare una storia diversa. 
Basta guardare alla Spagna, un Paese a noi molto simile: l’unico, insieme alla Grecia, che ci batte nel triste record del tasso di disoccupazione giovanile; uno Stato caratterizzato da estreme tensioni autonomiste e separatiste, altro che le barzellette in salsa lombardo-veneta. Eppure, grazie agli investimenti e alle giuste riforme, è oggi il Paese europeo col più alto tasso di crescita dell’economia previsto ben oltre il 2% (e non da oggi, ma ormai da cinque anni). 
Ma certo, vivere in campagna elettorale è più divertente: stare sempre sotto i riflettori, promettendo alla gente solo ciò che la gente vuole sentirsi dire, senza pensare al domani ma solo al consenso odierno. Una sbornia di applausi foriera di un risveglio drammatico. Con l’aggravante che, in questo caso, le conseguenze non saranno a carico dell’ubriaco ma dell’intera cittadinanza.
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