Papa Francesco in Marocco: «Dialogo con l'Islam antidoto contro la paura e l'odio»

Papa Francesco in Marocco: «Dialogo con l'Islam antidoto contro la paura e l'odio»
di Franca Giansoldati
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Domenica 31 Marzo 2019, 14:42 - Ultimo aggiornamento: 15:55
dal nostro inviato
RABAT Il dialogo con l'Islam non è una moda, né una strategia per aumentare il numero dei cristiani, ma una necessità. Nella cattedrale di Rabat, dedicata a San Pietro, Papa Francesco rende omaggio alle suore, ai religiosi, ai preti che vivono in Marocco, una piccola minoranza che gode di una buona libertà di culto, nonostante l'Islam sia religione di Stato. Sulla sommità della cattedrale svettano le croci, i sacerdoti possono andare in giro con la croce pettorale senza problemi di sorta, la coabitazione tra cristiani e musulmani è pacifica e ben inserita nel contesto sociale marocchino. Infine nella nuova costituzione c'è un rimando alla libertà di culto e alle radici 'mediterranee' ed ebraiche. Papa Francesco ha abbracciato e baciato la mano a padre Jean-Pierre Schumacher, l'ultimo sopravvissuto della strage di Tibhirine, avvenuta in Algeria nel 1994 per opera di estremisti islamici. La paura e l'odio «alimentati e manipolati, destabilizzano e lasciano spiritualmente indifese le nostre comunità».

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Nell'incontro con i religiosi del Marocco Papa Francesco sembra anche rispondere alle critiche che gli sono piovute addosso durante la precedente visita ad Abu Dhabi, con la firma del documento con l'Imam Al Tayyeb. In particolare un passaggio è stato contestato dall'ala più conservatrice della Chiesa. («Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano»).

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Papa Francesco a Rabat ha ripreso indirettamente il discorso e ha spiegato che entrare in dialogo non dipende da una moda, tanto meno da una strategia per aumentare il numero dei suoi membri. «Se la Chiesa deve entrare in dialogo è per fedeltà al suo Signore e Maestro che, fin dall’inizio, mosso dall’amore, ha voluto entrare in dialogo come amico e invitarci a partecipare della sua amicizia. Così, come discepoli di Gesù Cristo, siamo chiamati, fin dal giorno del nostro Battesimo, a far parte di questo dialogo di salvezza e di amicizia, di cui siamo i primi beneficiari».

«Il cristiano, in queste terre – ha aggiunto - impara ad essere sacramento vivo del dialogo che Dio vuole intavolare con ciascun uomo e donna, in qualunque condizione viva. Un dialogo che, pertanto, siamo invitati a realizzare alla maniera di Gesù, mite e umile di cuore (cfr Mt 11,29), con un amore fervente e disinteressato, senza calcoli e senza limiti, nel rispetto della libertà delle persone. In questo spirito, troviamo dei fratelli maggiori che ci mostrano la via, perché con la loro vita hanno testimoniato che questo è possibile, una “misura alta” che ci sfida e ci stimola. Come non evocare la figura di San Francesco d’Assisi che, in piena crociata, andò ad incontrare il Sultano al-Malik al-Kamil? E come non menzionare il Beato Charles de Foucault che, profondamente segnato dalla vita umile e nascosta di Gesù a Nazaret, che adorava in silenzio, ha voluto essere un “fratello universale”? O ancora quei fratelli e sorelle cristiani che hanno scelto di essere solidali con un popolo fino al dono della propria vita? Così, quando la Chiesa, fedele alla missione ricevuta dal Signore, entra in dialogo con il mondo e si fa colloquio, essa partecipa all’avvento della fraternità, che ha la sua sorgente profonda non in noi, ma nella Paternità di Dio».
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