Così, ogni volta che, ad esempio, a Tel Aviv, suonano le sirene, e la popolazione sa che devi rifugiarsi nei bunker, quegli allarmi riecheggiano fino a Roma, sulle bacheche di Facebook. Un po' come avviene con i terremoti, che da sempre hanno un'eco social molto forte. La viralità del terrore, in questo caso, ha due motivazioni. Intanto, perché quasi tutti hanno un parente che vive in Israele, un figlio, dei nonni, un ex, e vuole essere aggiornato sui rischi che sta affrontando. Ma c'è un altro motivo, più profondo, ed è nello spirito di solidarietà e fratellanza con chi si trova, ogni giorno, ad affrontare la minaccia terroristica. «Anche chi non ha nessun parente in Israele, anche chi non è di religione ebraica - faceva osservare qualcuno - dovrebbe installarsi questa App: almeno capirebbe cosa significa vivere in una condizione di pericolo costante». E, spesso, condividere questa realtà, porta anche ad essere svegliati nel cuore della notte, a Roma. Certo, all'ombra del Cupolone non bisogna correre in nessuno rifugio, ma a 2200 chilometri di distanza c'è chi rischia la propria vita, e non per sua scelta, ma per volere del terrorista di turno.
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