Carlo Nordio
Carlo Nordio

La paralisi del sistema/ Sanzionare chi non decide per sbloccare gli appalti

di Carlo Nordio
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Giovedì 14 Marzo 2019, 00:07
La notizia che il governo ha rinviato di una settimana il decreto sblocca-cantieri desta il sospetto che la strategia del non decidere stia progressivamente affermandosi come terapia conciliatoria delle due diverse anime che lo compongono. Una terapia comunque palliativa, che troverà soluzione o con la (improbabile) riabilitazione del paziente, e un accordo definitivo sulla sorte delle grandi opere, o con la sua prematura scomparsa, e le elezioni anticipate. Tuttavia, mentre per la Tav la questione era diventata - come si dice - di principio, ed era minata da due posizioni di partenza diametralmente opposte, il riavvio dei cantieri è sempre stato, almeno a parole, programma comune di rilancio dell’economia e dell’occupazione. 
Ora, non si sa bene quanti di questi cantieri siano effettivamente chiusi: 350, 500, addirittura 600. Il ministro Toninelli, in una trasmissione radiofonica, ha detto di averne visitati centinaia e di averli riavviati. L’Ance e molti Comuni contestano questa versione. Sta di fatto che molte opere sono effettivamente ferme, che i soldi sono già stati stanziati, e che il governo aveva individuato il rimedio per sbloccarle in un provvedimento urgente. Così urgente, che è stato, appunto, rinviato. Le ragioni di questa paralisi sono in effetti molte, perché molti sono gli organismi che possono impedire l’inizio o il proseguimento di un’opera. 
In Italia non esistono (o non esistono più) i cosiddetti poteri forti, perché oggi nessuno ha il potere di fare alcunché. Esistono invece formidabili poteri interdittivi, che ad ogni livello possono compromettere imprese di importanza nazionale: alcuni viadotti sono stati bloccati per salvaguardare stagni abitati da specie protette, e pare che in alcune località la presenza del gallo cedrone – o forse del gallo silvestre – sia sufficiente motivo per far deviare un’autostrada. 
Ma a ostacolare queste opere non è solo l’esasperazione ambientalista. È quel complesso normativo farraginoso, contraddittorio, oscuro e fondamentalmente stupido che conferisce un incontrollabile arbitrio ai più diversi organi centrali e periferici. È sufficiente che uno di questi alzi la voce, e tutto si ferma. Come abbiamo più volte ripetuto, questa dissennata proliferazione normativa è anche alla base della corruzione, perché espone il privato alla mercé dei titolari di questi oscuri e illimitati poteri. 
Ma esiste anche il rovescio della medaglia. Questi stessi poteri sono una spada senza impugnatura, che ferisce anche chi la brandeggia non solo in modo improprio, ma anche in modo onesto. Perché se è vero che in questo gigantesco guazzabuglio codicistico ogni amministratore troverà sempre una norma che gli dia ragione, è anche vero che rischierà sempre una buona denuncia, perché ci sarà sempre un’altra norma, opposta e simmetrica, che gli darà torto. Con la conseguenza che molti di loro si rifugiano in una inerzia prudenziale, paragonabile alla nota “medicina difensiva” che i sanitari attuano da tempo per salvaguardarsi dalla valanga di querele e di richieste risarcitorie infondate piovute loro addosso nel corso di questi ultimi anni.
Una volta individuate nella confusione delle leggi e nel timore di sanzioni le due cause principali di questa stagnazione, i rimedi dovrebbero essere di conseguenza: una radicale semplificazione delle procedure, un’accurata individuazione delle competenze, e magari l’abolizione del reato di abuso di atti d’ufficio, categoria evanescente e vaporosa che espone i firmatari di ogni provvedimento al rischio di un calvario penale tanto doloroso quanto inconcludente. E infine un sistema di sanzioni per chi non decide e gratificazioni per i funzionari più solerti e capaci, che non cedono all’inazione codarda ma si attivano per ottenere risultati rapidi e concreti. Un’iniziativa che in questi giorni è stata adottata dalla sindaca di Roma, e che potrebbe esser seguita da altri Comuni. 
Sempreché naturalmente il governo non perseveri nella tattica del rinvio, che molti amministratori, ammoniti da un esempio così funesto, sarebbero tentati di emulare.
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