Kelly Luegenbiehl, responsabile “originals” Netflix in Europa e Africa:«In Italia troviamo autori con “voci personali”. Ottima qualità»

Kelly Luegenbiehl
di di Ilaria Ravarino
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Domenica 10 Marzo 2019, 21:53
Responsabile degli “originals” Netflix in Europa e in Africa, Kelly Luegenbiehl è la donna che decide del destino dei progetti che la piattaforma sviluppa in Italia: alle due serie già prodotte, Baby e Suburra, e alle altre due in arrivo, Luna Nera e Winx Club, se ne potrebbero aggiungere presto altre. Algoritmo, e pubblico, permettendo.

Che storie cerca Netflix in Italia?

«Cerchiamo qualità nella narrazione e capacità di portare le storie sul set. Per le nostre prime due serie, Baby e Suburra, abbiamo lavorato con i migliori sul mercato. E Luna Nera, il nostro prossimo progetto italiano, andrà nella stessa direzione».

Cosa vi offre il mercato italiano? Perché sviluppare serie qui?
«Ogni lavoro che facciamo in Europa è unico e particolare. Penso che nei prodotti realizzati in Italia si sentano le voci dei loro creatori: in Suburra c’è lo spirito di Gina Gardini (produttrice Cattleya, NdR) e in Baby quella del gruppo di ragazzi, giovanissimi, che l’ha scritta. Credo che Baby in particolare sia stato un prodotto capace di parlare alle nuove generazioni. Ci dicono che in Italia i ragazzi nelle fiction non parlano come quelli veri, qui invece mi pare che l’obiettivo sia stato raggiunto. E il gruppo di donne che lavorano oggi a Luna Nera ci racconteranno una storia di genere da un punto di vista completamente femminile. Direi quindi che in Italia troviamo qualità di narrazione, solidità delle strutture e autori dotati di una voce personale».

Luna Nera: si dice che sarà un progetto, il primo, tutto al femminile. È vero?
«Non posso dirlo, mi dispiace. Non posso confermarlo o finisco nei guai».

Almeno ci dica se è vero che ci saranno solo donne alla regia…
«Diciamo che saremmo molto orgogliosi, se questa voce fosse vera. Luna Nera segnerà un momento speciale per le professioniste che lavorano nelle serie. Puntiamo a un pubblico ampio: abbiamo già dimostrato che le storie di donne possono piacere a tutti, non solo alle donne».

Sarà una storia di stregoneria? Un fantasy?
«Pescheremo “pezzi” di storia dal folklore italiano, ma cercheremo di renderli adatti a un pubblico globale. E poi ci saranno elementi che in qualche modo legheranno la storia all’epoca moderna, sarà appetibile per i ragazzi più giovani».

Quanto denaro investirete in italia nel prossimo anno?
«Quello che posso dire, senza entrare nello specifico, è che stiamo aumentando le produzioni e il coinvolgimento in Italia. Assisterete a una crescita esponenziale del numero delle serie. Ne annunceremo ancora nei prossimi mesi».

Quante? Quali?
«Posso dire...un paio. Le vedrete tra il 2020 e il 2021. Il pubblico in Italia sta dimostrando di amare le storie fatte per loro, ma anche quello all’estero. Se continuerà così, ne faremo ancora».

Anche Amazon sta producendo original in Italia: è un problema per voi?
«La competizione ci obbliga a fare meglio e assumerci più rischi.
Per il pubblico è un vantaggio. Da pubblico, dico: meglio cosi. Gli autori avranno maggiori opportunità per raccontare le loro storie. Credo sia un’ottima notizia. Probabilmente in questo momento storico, più di prima, tante persone saranno incoraggiate a scegliere carriere artistiche. Adesso lavori come l’autore, il regista, il montatore, sembrano più “veri”
».

È più difficile lavorare sull’empowering femminile in Italia che nel resto d’Europa?
«No. Credo che la nostra prima esperienza con la Cattleya sia stata fortunata, sono diventati amici e li considero la nostra guida per capire il pubblico italiano. In generale io non accetto di sentirmi dire non ci sono donne adatte per ricoprire un certo ruolo. Se me lo dicono, io rispondo di cercare e trovarle. Il mio capo ha fatto così con me, io faccio altrettanto. Il nostro compito è spingere i partner a pensare, come si dice, “out of the box”, fuori dalla scatola».

Quali sono le serie europee di maggior successo?
«Non posso fare una classifica. Per come funziona il nostro servizio, una serie che era la più vista un anno fa magari non lo è più adesso. Possiamo però parlare in termini di prodotti più popolari: e allora direi il tedesco Dark, il danese The Rain, lo spagnolo La casa di carta, e dalla Turchia The Protector. Anche Baby sta andando molto bene».

  Il mistero dell’algoritmo: quanto pesa nelle vostre scelte?
«Le nostre scelte sono sempre determinate da una giusta combinazione di arte e scienza. L’arte ha a che fare con la narrazione, la scienza ci dice magari quante persone potrebbero desiderare un certo tipo di prodotto. Quel che non può valutare l’algoritmo è la qualità dell’esecuzione di un progetto, la magia della creazione. Combiniamo le informazioni che ci arrivano dai dati con la visione artistica degli autori. L’algoritmo può contribuire a determinare il budget, tutto il resto è frutto di chi scrive, dirige e pensa la storia. So che sull’algoritmo c’è sempre una grande confusione. In ogni caso io non me ne occupo. Il Parlamento Europeo impone alle piattaforme il 30% di prodotti locali».

Vi bastano gli originals?
«Lavoriamo su cose diverse. Film in licenza, coproduzioni, serie, prodotti per bambini. Abbiamo varie opzioni per colmare quella cifra. Non ci siamo ancora, ma siamo sulla strada per farlo. Ma sia chiaro che non lo facciamo perché c’è un numero che ce lo impone, ma perché c’è un pubblico che c’è lo chiede».

Lei lavora anche in Africa. Quali originals state sviluppando nel continente?
«L’Africa è un territorio interessantissimo, in termini di pubblico e industria. Abbiamo annunciato solo una serie in Sud Africa, ma stiamo lavorando a un secondo progetto. L’Africa è un esempio di paese con una grande tradizione di narrazione che non è mai stata portata al cinema. Storie inventate secoli fa, che vorremmo raccontare al pubblico mondiale. Lavoriamo molto con il Kenya e l’Africa Occidentale: stiamo entrando adesso in quel mondo, piano piano, ma Nollywood è un polo importante cui appoggiarci».
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