Maria Latella

Quella festa negata/Il paradosso dell’8 marzo con sciopero

Quella festa negata/Il paradosso dell’8 marzo con sciopero
di Maria Latella
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Giovedì 7 Marzo 2019, 00:17 - Ultimo aggiornamento: 12:36

Lo sciopero “per le donne”. Per le donne? Su questo giornale, esattamente un anno fa, scrivevo della medesima circostanza: «Solo una mente perversa può aver elaborato il progetto che, in un’unica mossa, danneggia le donne, la loro festa e la residua reputazione dei sindacati». Un anno dopo aggiungerei anche la reputazione dei lavoratori. 


Quei lavoratori che aderiranno allo “sciopero per le donne”, che quest’anno capita pure di venerdì. Quale festosa occasione per anticipare il weekend.
Ai sindacati autonomi (non aderiscono Cgil, Cisl e Uil), si aggiungono le ragioni di “Non una di meno”, movimento al quale va il merito di aver rotto più volte il silenzio su come le donne vengono trattate da tv e pubblicità in Italia. E su come vengono mal-trattate dai loro presunti innamorati.

Le motivazioni per cui secondo “Non una di meno” l’8 marzo bisogna scioperare, sono tante. Troppe per non sospettare che una giornata dall’aria ormai polverosa serva anche per fare opposizione al governo. Legittima, ma perché strumentalizzare una data che è stata importante e della quale potremmo avere presto di nuovo bisogno?
Dice “Non una di meno” che domani bisogna «interrompere ogni attività lavorativa e di cura, fermare la produzione e la riproduzione». Purtroppo la produzione in Italia è ferma da un pezzo e quanto alla riproduzione... Per carità di patria risparmio i noti dati sulla società sempre più vecchia e le culle sempre più vuote.

«Incrociamo le braccia», dice “Non una di meno” e verrebbe da sorridere per il lessico antico se non fosse che le braccia delle donne italiane sono incrociate da tempo, essendo esse molto disoccupate, al sud almeno. Quanto allo sciopero in camera da letto, genere Lisistrata o più recentemente arma usata con successo dalle donne colombiane aderenti al “Crossed legs movement”, in Italia non impressiona nessuna, essendo alquanto diffusa in entrambi i generi l’astensione dal sesso, causa stanchezza cronica e/o mancanza di partner.
«In Italia una donna su tre tra i 16 e i 70 anni è stata vittima di violenza», prosegue il manifesto di “Non una di meno”. A parte l’impressionante «una su tre» (le cifre saranno certamente frutto di dati verificati), perché associare un tema cosi pesante e presente nel nostro quotidiano al rito dello sciopero, inclusi i mezzi pubblici? La metro ferma per ricordare la strage di donne? A Roma la metro si ferma ogni giorno, qualcuno si rende conto di quanta lontano dalla vita reale sia l’idea di uno sciopero per l’8 marzo?

Poi, nelle molte ragioni elencate da “Non una meno di meno”, c’è pure lo sciopero «contro la legge Salvini che impedisce l’autodeterminazione dei migranti». Già si prevedono i titoli su quotidiani specializzati nella caccia all’uomo nero: «L’8 marzo scioperano per i migranti e intanto nessuno ricorda la povera Pamela».
Peccato. Avessero aspettato un giorno, sarebbero stati gli stessi giovani leghisti di Crotone ad offrire succoso materiale al Manifesto di “Non Una di meno”. Roba tratta pari pari dal “Racconto dell’ancella” di Margaret Atwood. Per i giovani (giovani?) leghisti di Crotone, le donne sono spinte all’autodeterminazione e dunque “rancorose” contro gli uomini, le quote rosa umiliano e via farneticando, con l’armamentario della sottomissione. Nemmeno i bisnonni calabresi sarebbero arrivati a tanto.

Per non fare torto a nessuno, dopo l’attacco a Salvini, il manifesto di “Non una di meno” invita a scioperare anche contro il reddito di cittadinanza, e chi se ne frega delle molte casalinghe in fila alle Poste, evidentemente interessate ad avere finalmente qualche soldo che non arrivi dalle tasche del marito.

Se lo sciopero per l’8 marzo è l’ultimo, volenteroso tentativo di rianimare una data che è stata fondamentale, il mezzo appare più polveroso della stessa ricorrenza. È un peccato, perché come dimostra il volantino dei giovani leghisti calabresi, bisogna vigilare. Con fermezza e magari un po’ di umorismo. Nel proporre per il terzo anno uno sciopero non c’è traccia di modernità, di ironia. Si sente solo un vago odore di patchouli, proprio l’essenza che mettevamo negli anni Settanta.

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